Fabrizio de Feo
da Roma
Un forte e sonante «sì», senza se e senza ma, contro la restaurazione e limmobilismo perseguiti dallUnione. Silvio Berlusconi, ospite a Porta a Porta, detta il suo appello finale allelettorato, invitandolo a recarsi alle urne per il referendum costituzionale di domenica così da cogliere unoccasione storica e, probabilmente unica, di cambiamento. Un messaggio sintonizzato sulle frequenze della pacatezza, pensato per toccare soprattutto le corde della ragione e confutare le dichiarazioni catastrofiste dettate a più riprese dal centrosinistra.
«Con lattuale Costituzione, lItalia si è trovata in una situazione di sofferenza e inferiorità rispetto ad altri Paesi europei, perché il nostro Paese ha avuto in 50 anni 56 governi, della durata media di 11 mesi» spiega il leader di Forza Italia. «Non dimentichiamo che la Costituzione venne scritta 60 anni fa, nel 48, partendo dalla preoccupazione di non dare al governo poteri eccessivi per tornare alla dittatura fascista». E per rafforzare la tesi dellinstabilità insita nel nostro sistema fa gli esempi del ribaltone che portò Lamberto Dini a Palazzo Chigi e il passaggio dal governo Prodi a quello DAlema: «Con la nostra riforma tutto questo non sarebbe stato possibile. Questa riforma garantisce i cittadini che il primo ministro lo scelgono loro, senza il sovvertimento della loro volontà».
Lesortazione a uscire dal binario morto della conservazione a oltranza della Costituzione del 48 si unisce, nelle parole dellex premier, allorgoglio per il lavoro fatto nella scorsa legislatura. «Si è denunciata per anni la debolezza della nostra architettura istituzionale» ricorda Berlusconi. «Ho lorgoglio di aver guidato una maggioranza che è riuscita a fare quattro voti di riforma nella scorsa legislatura. Se non passasse il sì al referendum si fermerebbe tutto. Daltra parte in trentanni si sono susseguite tre commissioni bicamerali e non si è arrivati a nulla. Non buttiamo via questo grande risultato della maggioranza che è riuscita a dare vita a una riforma organica».
Piero Fassino, presente in studio con il segretario di Rifondazione Franco Giordano, contesta le tesi di Berlusconi riproponendo lo spettro di un modello autoritario: «Non si possono concentrare tutti i poteri nelle mani di un uomo solo» dice il numero uno di Via Nazionale. «In questo modo il presidente della Repubblica diventa il notaio di decisioni altrui. Non cè nessun bilanciamento, anzi cè uno squilibrio». Il leader azzurro evita, però, lo scontro frontale e manifesta disponibilità al dialogo. «Costruiamo la casa, se poi cè da cambiare i balconi lo facciamo insieme». Limportante è rompere il tabù di un assetto pietrificato e intoccabile. Una tesi ripresa anche da Rocco Buttiglione: «Se dovesse vincere il No, non avremmo più nessuna riforma» dice il presidente dellUdc. «Mentre se dovessero prevalere i Sì avremo cinque anni per fare insieme delle modifiche perché la nuova riforma entrerà in vigore nel 2011».
Silvio Berlusconi ci tiene anche a precisare il senso delle sue ultime dichiarazioni sul referendum, sottolineando di essere stato «male interpretato» sullepiteto indegno. «Io ho detto solo che un cittadino che vuole essere orgoglioso di essere italiano deve sentirsi protagonista in un momento come questo di cambiamento della legge fondamentale dello Stato. Non ho detto che cera indegnità se uno non andava a votare il sì. Ho spiegato che un cittadino si dovrà sentire degno cittadino di questo Paese se avrà partecipato alle votazioni esprimendo il suo sì o il suo no». Lunica stoccata il leader azzurro la riserva quando Fassino gli ricorda che anche alcuni esponenti della Cdl, tra cui Marco Follini e Bruno Tabacci, si sono schierati per il «no». «Quelli non sono nostri esponenti. Sono i cavalli di Troia della sinistra».
Se Berlusconi usa toni misurati è Umberto Bossi, in serata, in un comizio a Piacenza, a tornare allattacco. «Se vincerà il no vedrete che la lotta non si fermerà» promette il leader della Lega.
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