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QUESTA SINISTRA "CHIAGNE E FOTTE"

Nell’imminenza del G8 dell’Aquila la stampa straniera - non tutta, ma una buona rappresentanza - soffia sulle braci dello «scandalo Noemi» per ravvivarne la fiammata. Niente di nuovo, solo rimasticatura di fatterelli già noti, ma riproposti con grande enfasi e accompagnati dall’annuncio - chissà come documentato – di prossime «sconvolgenti rivelazioni». L’atteggiamento dei giornali europei non stupisce: il boccone è ghiotto, Silvio Berlusconi è un personaggio di levatura internazionale e il boccaccesco ha sempre un’audience molto alta, specie se impastato con la politica. C’è quindi una ragione propriamente giornalistica che induce a battere la grancassa dello «scandalo». Ma non è la sola, e nemmeno la più importante. Berlusconi è al suo terzo G8 e ciò vuol dire che ha capitalizzato una notevole esperienza, che può contare su buona pratica di questi summit ad altissimo livello. Un insieme di competenze che non possono non rafforzare il suo ruolo di presidente dell’attuale sessione, portandolo a essere più decisionista di quanto, per carattere, già non sia. E tutto s’aspettano, i capi di Stato e di governo che si riuniranno all’Aquila, meno che una presidenza decisionista. All’ordine del giorno ci saranno infatti temi spinosi, la crisi economico-finanziaria, l’Iran, la Corea del Nord, l’Afghanistan, la Palestina, sui quali i «grandi» hanno opinioni e proposte di soluzioni divergenti: disposti dunque al dialogo, ché quello non ha fatto mai male a nessuno, ma non alla definitiva scelta di campo. La presenza di un presidente che non incalzi, che non stia addosso, che non stringa i tempi, tornerebbe dunque gradito. E un Berlusconi «sotto schiaffo», un Berlusconi ridicolizzato nel migliore dei casi, accusato di chissà quali turpitudini nel peggiore, si prospetterebbe più malleabile, meno disposto al fare e più rassegnato al parlare.
A offrire agli organi di informazione stranieri l’arma per compromettere l’immagine di Berlusconi e di riflesso dell’Italia è stata La Repubblica, alla quale ha fatto coro la sinistra che sullo «scandalo Noemi» scandì addirittura i tempi, e s’è visto con quali risultati, della recente campagna elettorale. Anche se rivelatasi una panzana, la «scossa» vaticinata da D’Alema rimbalzò subito sulla stampa estera, come d’altronde la sua ultima ciarlatanata e cioè che il nazismo è dietro l’angolo (per la precisione: «Non voglio dire che siamo alle porte del nazismo, ma molti ingredienti sono simili»). Bene, dopo aver rifornito le testate europee di Noemi, di D’Addario, di fotografie, di memoriali, di lampi di cocaina, di sospette minorenni, di escort, di «donne immagine» e di putains, dopo averle recapitato l’annuncio della «scossa» e ieri quello del nazismo incombente, dopo aver diffuso la voce di prossime piccantissime rivelazioni, dopo aver brigato affinché le first ladies disertino l’Aquila, La Repubblica e la sinistra cosa fanno? Piangono e deprecano il discredito che simili fatti arrecano alla nazione. Piangono e deprecano la «perdita di credibilità» proprio ora che i grandi del pianeta giungono in Italia.

Interpretando coralmente, la versione istituzionale del «chiagne e fotte», avendo voluto e provocato e alimentato la martellante campagna diffamatoria, da grandissimi ipocriti quali sono, da miserabili Tartufi simulano ora i buoni sentimenti. Il patriottismo perfino. Quello che l’illuminato Samuel Johnson definì l’ultimo rifugio del farabutto. Del farabutto.

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