«Questa sinistra con la satira vorrebbe fare la rivoluzione»

Ai piedi della palazzina di Pier Francesco Pingitore c’è il tennis condominiale. Quando arrivo di primo pomeriggio, due matti corrono sotto il solleone. Pum... pam... È il solo rumore che si percepisce nella sonnacchiosa stradina romana dove il fondatore del Bagaglino vive da quarant’anni. Salendo da lui, anche il racchettare si spegne. L’appartamento è in penombra, il tappeto smorza i passi. Pingitore indossa le babbucce del Dott. Scholl che aggiungono levità a levità. Assolti i convenevoli, mi offre delle caramelle perché succhiando taccia. È evidente che ama pace e silenzio. In casa, neanche un bisbiglio.
«È sposato? Ha figli?», mi viene spontaneo di chiedergli.
«Figli non so. Sposato certamente no», replica sornione lo scapolo settantaquattrenne e incrocia badialmente le mani. Il salotto è ordinato, con quadri napoletani dell’800, terrecotte di deità orientali, ricordi di teatro incorniciati. L’ambiente del perfetto signorino autosufficiente.
«Sono venuto da lei...», comincio.
«Diamoci del tu. Siamo giornalisti», propone alludendo al suo passato di caporedattore dello Specchio, celeberrimo settimanale di varia mondanità degli anni ’60.
«Mi rivolgo all’esperto», dico con un inchino e aggiungo: «Il pastiche di politica e alcova di queste settimane ha superato le trovate del Bagaglino».
«Ho anticipato col cabaret il clima di pochade che oggi si respira. Ho cercato il paradosso. Ma la realtà è così paradossale che si fa fatica a superarla...».
«Come avresti cucito insieme Papi, i festini di Villa Certosa e la Mata Hari pugliese, Patrizia D’Addario?».
«Come immaginare una tela di ragno così ingarbugliata? Fatico a entrarci e non mi entusiasma. La realtà supera la fantasia», dice con aria sconfitta.
«Avresti certo dedicato un siparietto ai moralismi di Franceschini e alle scosse dell’aruspice D'Alema».
«È la Francia del ’500 con i suoi moralisti, gli astrologi alla Nostradamus, le Dame galanti di Brantome» e sospira per non potere subito - causa pausa estiva - utilizzare in teatro tanto bendidio.
«E dove la metti la tenda di Gheddafi al G8?».
«Quello è il Granturco in visita a Parigi», dice trionfante e con sguardo visionario prosegue: «Pensa se ci fosse stato un terremoto col crollo di tutto l’ordine mondiale. Uno spettacolo grandioso col trionfo dell’impresario Berlusconi, lo Ziegfeld della politica».
«Appioppagli anche questo dopo che lo accusano già di tutto».
«Trovo insopportabile il moralismo opportunista. Siamo un Paese ipocrita. Non gliene frega di niente a nessuno, tutti si fanno i fattacci propri, tutti relativisti al cubo, ma quando conviene, invocano i dieci comandamenti».
«Con tanto materiale a disposizione ti dispiacerà ancora di più il flop dell’ultima serie tv del Bagaglino annullata da Mediaset una puntata prima della fine», rinvango crudele.
«Abbiamo avuto tanti successi, in teatro dal 1965, in tv dall’87. Sia in Rai sia con Mediaset abbiamo toccato punte di ascolti del 47 per cento, come la Nazionale di calcio. Siamo stati talmente premiati che possiamo pagare il pegno di una puntata», dice provando a tirarsi su.
«Mettendo il fiasco a nudo, Mediaset ha mancato di tatto?».
«Piersilvio non ha considerato il danno che poteva farci, i meriti del Bagaglino verso Mediaset, né quello che rappresentiamo nel mondo dello spettacolo».
«Cioè?».
«La sinistra ci ha sempre avversato e ha accolto lo stop come una manna, festeggiando a champagne. Siamo stati esposti al divertimento di chi non vedeva l’ora. Se consideri che eravamo la sola voce indipendente, Mediaset si è data la zappa sui piedi».
«L'insuccesso però te lo sentivi. Alla morte di Oreste Lionello, in febbraio, hai detto: “Chissà se il Bagaglino sopravvivrà”».
«Capita di strologare. La morte di Oreste mi ha talmente colpito. Era il mio alter ego. Ciò che scrivevo aveva in lui la sua realizzazione più perfetta. Bastava vedere l’intelligenza dei suoi occhi per capire la totale comprensione del testo».
«Come ti venne il ghiribizzo del Bagaglino 45 anni fa?».
«Eravamo quattro amici al bar, Piero Palumbo, Luciano Cirri, Mario Castellacci e io. Volevamo andare oltre il giornalismo e battere strade nuove. Cominciammo in un bugigattolo tra la cave esistenzialista e la taverna spagnola. Fu successo immediato».
«Come ti sei scoperta la vena comica?».
«Più satirica che comica. Allo Specchio facevo i titoli. Con i titoli ci si abitua alla battuta».
«Fino alla sua morte, sette anni fa, scrivevi a quattro mani con Castellacci».
«Eravamo complementari. Lui più pigro, io esagitato. Mario, di dieci anni più vecchio, aveva capacità poetiche fuori del comune. Era stato nella Rsi e aveva scritto l’inno più popolare di Salò: Le donne non ci vogliono più bene/ perché portiamo la camicia nera. Il clima dell’8 settembre. La sagra della viltà degli ex fascisti che cambiavano casacca e la reazione dei giovani che si facevano un punto d’onore di arruolarsi nella Rsi», dice, ma si capisce che non gli va tanto di parlare di un passato troppo carico di trapassati.
Il tuo è considerato un cabaret di destra.
«La satira non ha colore: è dire la verità facendo ridere. C’è poi chi la piega più verso la propria parte. L’obiettività non esiste. Ma devi tendere all’indipendenza che è il contrario della militanza. Ho detto delle str...zate?».
Parli come un libro stampato.
«Le etichette in Italia si danno per metterti nel ghetto e non farti parlare».
Differenze tra la vostra satira e quella dichiaratamente di sinistra?
«La nostra ha un approccio allegro e non tende a destabilizzare. La loro vuole influenzare la politica. Noi vogliamo fare ridere del Palazzo e scaricare i veleni della società. Loro pensano che la satira serva alla rivoluzione».
Di sinistra sono Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Daniele Luttazzi. Ti fanno ridere?
«Talento ne hanno. Sabina per un po’ mi ha divertito. Poi, diventata capopopolo, ha fatalmente perso la capacità di commuovere e divertire. Rossi ha una satira da centro sociale. Bravo, ma non mi interessa. Luttazzi ha preso una strada senza uscita: l’estremismo. Gli fa perdere la sottigliezza di cui è dotato».
Conclusione?
«Nel disastro totale della sinistra, anche loro sono un po’ naufraghi».
Luciana Littizzetto e Crozza?
«Littizzetto non mi diverte. Colpa mia, naturalmente. Idem, Crozza. Non posso farci nulla».
Con te lavorava Enrico Montesano. Avete rotto?
«Preso strade diverse. Insieme avevamo fatto cose importanti: Dove sta Zazà e Ammazzabubù con Gabriella Ferri».
Un tipo bizzarro, Montesano. È stato deputato Ue del Pds, poi ha strizzato l’occhio ad An.
«L’attore è partigiano di se stesso e non dà quasi mai importanza alle idee che professa».
Se potessi ingaggiare il Cav nel ruolo del Cav come lo utilizzeresti?
«Piazzandolo nella Francia del Secolo d'oro, in veste di Re Sole e Molière insieme. Sovrano e attore, uomo di comando e uomo di spettacolo».
Franceschini?
(Lo sguardo gli si spegne e piomba in un lungo silenzio prima di rispondere) «Non credo abbia qualità recitative. Troppo compassato. Gli manca la leggerezza che serve a teatro. È un uomo pesante».
Di Pietro?
«Capitan Fracassa: adesso spacco tutto; appena lo trovo lo taglio in due. Poi magari le legnate le prende lui. Un rodomonte ammazzasette».
Che pensi del Cav?
«Non viene dalla politica e ha pregi e difetti di questa origine. Non ha le liturgie dei politici. Ma neanche gli accorgimenti e rischia di pagarne le spese. Oggi, però, non vedo chi possa sostituirlo».
Sei di origine calabrese, ti va il ponte sullo Stretto?
«Da sessant’anni manca una testimonianza visiva delle nostre generazioni. Il fascismo ha lasciato tracce. La Repubblica solo le autostrade. Per dare un’impronta, ci vuole un’opera ciclopica e megalomane: il ponte, appunto».
Per il dopo Cav hai preferenze?
«Sarà colpa mia, ma non vedo un altro».
A sinistra?
«Veltroni non mi dispiace».
Il Cav vince e Franceschini dice: “Ha perso”. Di che genere letterario si tratta?
«Fantascienza».
D’Alema parla di declino del Cav. A quale stato mentale corrisponde?
«Disperata speranza. Si propongono forsennatamente di sbatterlo fuori, ma per fare che? Che hanno in mente? Che progettano? Vattelapesca».
Tra Vespa e Santoro?
«Bravi ma prigionieri di se stessi. Vespa fa la quinta carica dello Stato, Santoro il Masaniello in servizio permanente. Dovrebbero scambiarsi le parti. Santoro fare qualche puntata di Porta a Porta, Vespa alcune di Anno zero. Se no, è il gioco dei ruoli».
È più intollerante l’uomo di destra o di sinistra?
«Sinistra, senz’altro. Crede di avere il monopolio della verità. La destra è stata talmente bistrattata che ha dovuto riflettere molto sulle proprie tesi. La sinistra trionfante invece non ha mai dovuto analizzare, né fare autocritica».


Ridere aiuta a vivere?
«È un modo per superare l’angoscia esistenziale. Oddio che frase! Ho detto una str...zata?
Hai riso per mestiere. Ti è servito?
«Ho fatto ridere gli altri. Chissà se poi ho riso io. Si può ridere di quasi tutto. Il guaio è quando ti becca quel quasi».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica