"Questa terra è nostra" Gli indios in rivolta armati di lance fanno strage in Perù

Almeno 40 i morti, centinaia di feriti, nelle proteste contro governo e società petrolifere in Amazzonia. Gli scontri per il via libera delle autorità allo sfruttamento della selva. Nove poliziotti sono stati sgozzati

"Questa terra è nostra" Gli indios in rivolta 
armati di lance fanno strage in Perù

MadridÈ stata una rivolta medioevale: migliaia di indigeni armati di lance all’assalto, i nemici che cedono e, ormai inermi, vengono sgozzati senza pietà. È successo nella selva peruviana, in due giorni di violenza cieca, i più sanguinosi nella storia recente del Paese. Gli scontri tra gli indios Awajun, ostili alla colonizzazione di territori sui quali vivono da tempo ancestrale e la polizia peruviana, hanno lasciato sul selciato delle strade amazzoniche almeno 40 persone. I feriti sono centinaia e non è ancora finita: dopo un sequestro durato alcune ore almeno 9 poliziotti sono ancora ufficialmente dispersi.
Le comunità indigene locali si sono sollevate da mesi contro alcuni decreti del governo, accusato di voler porre fine alla loro presenza millenaria, cucita a doppio filo con le terre amazzoniche. «Questa terra è la nostra cultura e la nostra identità, senza di lei siamo condannati allo sterminio», spiega l'Associazione dei popoli indigeni amazzonici del Perù Aidesep, che denuncia le nuove leggi del governo di centrosinistra guidato da Alan García. I decreti consentono la vendita di circa il 60% della foresta amazzonica peruviana alle multinazionali per l'estrazione di idrocarburi o la coltivazione di biocarburanti.
Due dei decreti sono stati dichiarati incostituzionali dal Congresso peruviano, mentre le Nazioni Unite hanno chiesto spiegazioni al governo sulle leggi in discussione, che scavalcano il diritto degli indigeni a essere interpellati in anticipo sulle decisioni che li riguardano. Così la comunità indigena peruviana, composta da circa 200mila persone divise in 1.200 comunità è scesa in strada per difendere con la propria presenza la terra. «Per il mercato l'Amazzonia peruviana ha un'importanza economica che è negoziabile. Per noi indigeni, i territori hanno un valore spirituale e sono sacri», spiegano i rappresentanti degli indios.
Dal 9 aprile gli indigeni hanno bloccato le strade e i fiumi che portano alla zona contesa, hanno ostacolato le operazioni delle multinazionali del petrolio e del gas nella regione causando anche interruzioni dell'energia elettrica e scarsità di cibo in varie città. Gruppi industriali come PetroPerù e l'argentina Pluspetrol hanno dovuto interrompere la produzione. Giovedì il governo ha deciso di rimandare il dibattito sulle nuove norme e ha mandato la polizia a sgomberare le strade.
A quel punto la rabbia degli indigeni è esplosa: lo scontro più grave è avvenuto venerdì in un luogo conosciuto come «la curva del diavolo», nella provincia di Bagua, a circa 700 chilometri a nord della capitale Lima. Circa cinquemila indigeni Awajun si sono scontrati con i poliziotti antisommossa. Le fonti ufficiali parlano di 11 poliziotti e 3 indigeni deceduti. Varie associazioni umanitarie hanno però denunciato che i morti tra gli indigeni potrebbero arrivare ad essere almeno una cinquantina, mentre il dirigente degli indios Zebelio Kayap ha detto che nel conflitto ci sono state torture, sono stati bruciati mucchi di cadaveri e che l'esercito ha volutamente impedito l'accesso ai soccorritori per fare sparire molti corpi.
A fine giornata centinaia di indigeni hanno poi preso d'assalto una stazione petrolifera della compagnia PetroPerù riuscendo a fare prigionieri 38 poliziotti. Ieri un'operazione delle forze speciali peruviane ne ha liberati 22. Gli indigeni hanno sgozzato nove poliziotti, secondo quanto dichiarato ieri dal presidente García, mentre altri sette sono attualmente scomparsi. García ha proclamato per oggi un giorno di lutto nazionale e ha attaccato duramente gli insorti.

La procura peruviana ha spiccato ieri un mandato d'arresto contro il leader di Aidesep, Alberto Pizango per il massacro di venerdì. Proprio Pizango aveva denunciato che a Bagua «c’è stato un genocidio e la colpa è del presidente Alan García».

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