Queste scelte ideologiche le pagheranno i cittadini

E venne il giorno dei massimalisti. La nuova amministrazione comunale di Milano aveva anche sorpreso, con le nomine di giunta, per l’evidente tentativo di contenere le spinte più radicali dei partiti. Ora il pendolo ha oscillato in modo evidente dal lato opposto: tabula rasa urbanistica e ritiro dei militari. L’uno-due non ammette dubbi: nel momento in cui la giunta Pisapia ha dovuto prendere le prime decisioni qualificanti nel merito, ha scelto di azzerare tutto, seguendo le pulsioni manifestate dall’ala massimalista della sinistra.
Non è un caso che abbiano esultato alla notizia della revoca l’Idv, la Federazione della Sinistra e la lista «Milano civica», che per esser civica sta dando prova (vedi il voto su Israele) di un radicalismo niente male. Né è un caso che sia sulla revoca del Pgt sia sulla commissione Sicurezza (con le perplessità del capogruppo Carmela Rozza per l’assegnazione della presidenza all’«avvocato dei centri sociali») siano emersi forti e chiari i malumori del Pd, che con le solite ambiguità e incertezze cerca di rappresentare l’ancoraggio del centrosinistra a un’idea di amministrazione della città che sia quantomeno non ostile alle forze economiche che l’hanno guidata dal tramonto della Prima Repubblica a oggi. Ma il Pd ha perso le primarie a novembre, e ha ri-perso ieri, la prima partita in giunta.
La sicurezza era un’emergenza di Milano, altroché. La percezione di una città insicura era diffusa e generalizzata tre anni fa. Nel primo giorno della missione «Strade sicure» le signore anziane affacciate ai balconi di via Padova salutavano come liberatori le pattuglie miste esercito-forze dell’ordine. E avevano ragione, lo dicono i dati: reati in calo e - deve essere sottolineato - neanche un incidente, nessun «effetto collaterale» insomma. I soldati italiani hanno dato prova di professionalità, la loro presenza è stata discreta e misurata, ma evidentemente efficace se i residenti dei quartieri «caldi» già li rimpiangono. Eppure l’evidente idiosincrasia per le divise coltivata da una parte non irrilevante della maggioranza ha prevalso, al grido di «Milano non è Beirut».
Il Piano di governo del territorio era una straordinaria opportunità per le imprese e per il sistema economico locale complessivamente inteso - che vale il 10 per cento dell’economia nazionale. L’opportunità di rimettere in moto gli investimenti immobiliari, e l’indotto, offrendo nel contempo una soluzione alle molte famiglie che ancora reclamano una casa a prezzi ragionevoli. Il valore di una spinta del genere, stimato in 3 punti di Pil, si calcola in miliardi di euro. Il pericolo ora è reale: danneggiare le imprese, invischiare il Comune in un calvario di ricorsi e impugnazioni, costringere la città a infilarsi nel vicolo cieco dell’incertezza normativa, per inseguire quello che qualche amministratore chiama «un sogno», mentre il sindaco descrive il vecchio Pgt come una «carneficina».
Ora, è comprensibile che chi vince le elezioni sia tentato dal rappresentare come un disastro l’eredità lasciata da chi «c’era prima».

Certo, fa comodo. Ma una buona amministrazione è quella che pragmaticamente sa partire da quel che di buono ha trovato, e lo sviluppa andando avanti. Non quella che fa proclami, insegue sogni e prefigura incubi a spese dei cittadini.

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