«Questo ormai non rende più: lasciamolo morire, ma qui no»

Le frasi degli indagati: nessuna preoccupazione per la salute dei malati. Unico timore: lasciare tracce

da Milano

Costi e ricavi. Questo, innanzitutto. Prima e pressoché unica preoccupazione. I pazienti, quelli, sono sullo sfondo. Dettagli. No, fastidi. Il malato è anziano, la soluzione è facile. «Lasciamolo morire». Però, con stile. «Non da noi».
PIO ALBERGO SANTA RITA
Mezzanotte e dodici minuti. È il 26 novembre scorso. Al telefono, Pansera («U») e una collega («I»). In reparto c’è un problema. Il problema è il paziente.
U: «Stamattina mi dice “dottore, S. c’ha sette di emoglobina e ha...” volevo dirgli non me ne frega... cioè volevo veramente incazzarmi».
I: «Non me ne frega un cazzo, esatto».
U: «Esatto, però peccato che voglio dire, non è che voglio andare in galera per S., a sto punto qua io gli ho detto “guardi, io appena posso torno, iniziate a chiedere il sangue”, e così ho fatto, cioè io ho fatto le cose, poi alle undici sono andato e questo qua più moribondo di sempre, ovviamente ho riparlato con la moglie per sollecitare il trasferimento. Ho detto “scusate ma non avete le conoscenze al Pio Albergo?” E allora scusa?».
I: «Lo trasferiscono?».
U: «Sì, no, adesso dovremo trasferirlo».
I: «Sì, è comodo così, va».
U: «E vabbè, quindi fatto sta che ho chiesto tre sacche di sangue, gli ho chiesto l’emocromo per domani, non gli ho chiesto ancora la gastroscopia perché ho detto ma... perché chiedere una gastroscopia a un moribondo, io chiedo la consulenza chirurgica, la consulenza al chirurgo generale, con scritto anche se lo possiamo muovere e con scritto anche eventuale trasferimento per competenza».
I: «Sì certo».
U: «Ma a sto punto qua voglio dire. Oh, è tutto tranne che di competenza chirurgico-toracica. Eh ovviamente non ce... non se lo prenderanno assolutamente».
I: «Per me non è neanche di competenza chirurgico-addominale, non è di competenza chirurgica in senso lato».
U: «Esatto, solo che appunto se l’internista non se lo vuole prendere, cardiologia anche, non so cosa farci io e... comunque...».
I: «Lasciamolo morire».
U: «Ma certo, però non da noi, voglio dire, andrebbe trasferito».
I: «No certo, sempre meglio che morisse da un’altra parte, comunque».
DIKTAT DI BILANCIO
Il dottor Scarponi, la «macchina da guerra» («U»), è al telefono con una certa Stefani («I»). Luglio 2007, le 10 e mezza.
U: «Eh scherzi questo è un malato gravissimo, cardiopatico gravissimo con diversi stent, operazioni».
I: «Ok, va bene! Allora cercate di concentrarvi sulla preparazione degli interventi».
U: «Stefania da ieri sera a stamattina andare in sala con un malato così è...».
I: «Buono».
U: «Buono, certo».
I: «Va bene dai».
U: «No l’andamento è molto buono. Quello che mi preoccupa perché poi alla fine... diciamo...».
I: «Devono esserci anche i risultati economici».
U: «Esatto, non voglio che mi venga imputato dei costi molto elevati».
L’ORDINE IN PASTA
Venti minuti all’una. È notte. Il 18 luglio, due medici commentano il «protocollo» Santa Rita.
I: «Era la proprietà che diceva ai medici di pompare i Drg, lo sappiamo. Però, non è che fanno i controlli alla proprietà, cioè... andavano nei guai i medici e l’Ordine non si muove che sa tutte queste porcherie, l’Ordine dei medici non si muove».


I: «Perché secondo te?»
U: «Ma perché ci han tutti le mani in pasta, ma perché è politica, ma perché barattano una cosa con l’altra, cioè è così, ormai il mondo è marcio. Francamente non se ne può veramente più».
I: «È proprio vero, è tutto uno schifo».

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