Prima ancora di discutere nel merito dei provvedimenti «anticrisi» del governo occorre domandarsi «perché». Qual è lo scopo, il fine ultimo di questa manovra così contraria al credo, alla ragione stessa di esistenza del Popolo della Libertà? È evidente che nell’emergenza, nel pericolo supremo è possibile che l’istinto di conservazione prevalga su ogni cosa, travolgendo credo e valori profondi, del resto nella nostra ricchissima storia ci sono sia Salvo d’Acquisto, pronto al sacrificio per gli altri, sia il Conte Ugolino, spinto a divorare i figli perché «più che l’amor poté il digiuno».
Tuttavia senza un obiettivo da raggiungere nessuno sforzo si giustifica, specialmente quelli più pesanti ed odiosi. Scriveva Seneca: «Il vento è sempre favorevole per chi sa dove vuole andare», ecco, ciò che cospicuamente manca alla manovra e, in fondo, a tutta quest’Europa che si sta suicidando sull’altare del deficit, è proprio la direzione finale, la spiegazione razionale per giustificare i sacrifici che fino a ieri non solo non erano neppure ipotizzabili ma che, anzi, venivano considerati il male da estirpare. Tasse sul ceto medio produttivo ed «onesto dichiarante», tasse sui risparmi, incertezza sulle pensioni: un arsenale recessivo composto dal le stesse ricette di sinistra che non hanno mai portato né gettito né sviluppo. Per cosa? Il problema è forse il deficit? Strano: il livello del nostro disavanzo è noto e stranoto da anni, migliore di quasi tutti gli altri partner europei e nulla lasciava presumere che si sarebbe discostato dalle previsioni. Il debito? La Spagna ha un debito in proporzione al Pil pari a circa la metà del nostro e fronteggia gli stessi problemi. La crescita? Forse, ma di certo una manovra recessiva come quella appena presentata va nella direzione contraria. I crolli di Borsa? Affrontarli aumentando le tasse sui risparmi è come riparare la barca che fa acqua con il trapano.
Allora il vero problema è che dopo l’affaraccio della Grecia i mercati non si fidano più della capacità degli Stati europei di restituire i loro debiti e gli investitori stanno facendo la fila per riavere i loro prestiti. In quest’ottica lo Stato si sta comportando come una banca che, per placare gli investitori nel panico che si accalcano davanti alle porte per ritirare i risparmi, decide di tagliare gli stipendi agli impiegati: non uno tra quelli che stanno in coda angosciati ne sarà rassicurato e tornerà a casa. Cosa ci stiamo «comprando» quindi con questa manovra? Qualche acquistino sporadico dei nostri titoli da parte della Bce? No grazie, la spesuccia fa forse guadagnare qualche tempo, alla lunga non servirà a nulla e saremo daccapo. L’unica giustificazione che renda accettabile il prezzo pagato dal ceto medio produttivo dovrebbe essere la garanzia totale centralizzata del nostro debito, consentendo alla Bce di agire come la Fed americana e comunicandolo ai mercati: i nostri Btp si allineerebbero a quelli tedeschi e l’incubo sparirebbe.
Se ciò non dovesse essere stato garantito e, peggio ancora, magari nemmeno chiesto dietro la minaccia di far saltare il castello di carte, si sappia che i sacrifici sono destinati a quell’enorme fornace dei soldi rappresentata dai patetici tentativi di puntellare una struttura che non tiene, tipica delle fasi finali di ogni crisi, dall’Argentina, all’Italia del 1992.
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