«La quinta repubblica»: la parabola del presidenzialismo

Cinquant'anni di storia francese raccontati attraverso un'istituzione che ha vissuto luci e ombre della seconda metà del Novecento da De Gaulle a Sarkozy

Ha compiuto da poco i cinquant'anni di vita ed è lanciatissima. Dà addirittura l'idea di durare ancora per molto. Lei è la «Quinta repubblica», quella che in Francia è inziata nel '58 conferendo i pieni poteri a De Gaulle e che oggi, con Sarkozy, è viva più che mai ma con caratteristiche un po' diverse. Certo personaggi diversi e anni diversi ne hanno impersonato in modo diverso alcune caratteristiche eppure quel presidenzialismo accentuato che diede al generale poteri quasi illimitati è oggi più o meno lo stesso che li ha trasferiti nelle mani di Sarkozy dopo averli affidati, in passato, nelle sfere socialiste di Mitterrand.
Ad analizzare questa parabola è uno studio di grande rilievo, recentemente presentato a Montecitorio, «La quinta repubblica - Da De Gaulle a Sarkozy», opera di Umberto Coldagelli (Donzelli editore, pp. 184, euro 27) che è stato vicesegretario generale della Camera che nella sua attività di studioso si è occupato spesso di Tocqueville, dell'America. Stavolta l'autore rivolge la sua attenzione alla Francia e tenta di metterne in luce l'aspetto istituzionale di un sistema democratico che ha creato una forma repubblicana unica fra le democrazie occidentali.
Si tratta infatti di un'impalcatura costruita su una figura presidenziale tanto onnipotente nelle forse quanto irresponsabile di fronte alla rappresentanza nazionale che trae origine dall'elezione popolare diretta. La quinta repubblica, nata da un preciso contesto storico, si è perpetuata su sé stessa forse al di là del prevedibile tanto da risultare la più longeva delle forme istituzionali francesi dalla rivoluzione ad oggi e ha raggiunto il picco più alto negli anni della sinistra al potere con la presidenza Mitterrand negli anni Ottanta.
In questo ultimo scorcio di secolo ha attraversato i processi evolutivi tipici di questa società comuni a Parigi come ad altre capitali europee: il depotenziamento della politica, il declino dello Stato-nazione con ciò che si è portato dietro: la crisi di sindacati, partiti, rappresentanza, Stato sociale e una crescita proporzionale dei movimenti di opinione, più che di classe. Un esempio, a questo proposito, la tutela dei prigionieri politici dei quali l'Italia chiedeva l'estradizione, che hanno aggregato personaggi di diversissima estrazione e provenienza accomunandoli da una medesima quanto opinabile prospettiva di giudizio. Allo stesso modo è cresciuta la spettacolarità della competizione elettorale presidenziale, sul modello americano e si arriva fino alle riforme messe in cantiere dal comitato Balladur, dietro indicazione di Sarkozy.

Tuttavia forse il valore aggiunto dell'apporto di Coldagelli è rappresentato dall'introduzione, pagine dense nelle quali avanza la sua personalissima lettura dei vari scenari riguardanti la riforma elettorale attualmente in discussione in Italia. Coldagelli punta a evidenziarne le caratteristiche sulla scorta dell'esperienza francese e dell'analisi di questi cinquant'anni di storia transalpina.

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