Lorenzo Corti
Il servizio di private banking è sempre più attento a tutti gli aspetti familiari e, più in particolare, alle esigenze delle grandi famiglie. Tra queste, figura anche il passaggio generazionale: sempre più spesso, infatti, i fondatori di imprese del made in Italy e le loro famiglie hanno la necessità di essere affiancati da persone competenti ed esperte per consolidare i risultati raggiunti (e, possibilmente, per capitalizzarli), ma anche per individuare i fattori critici e mettere a punto interventi mirati.
Un'opzione a disposizione degli esperti del private banking, in stretta collaborazione con i professionisti del private equity, è quella della quotazione in Borsa dell'azienda: una soluzione che, sebbene non sia molto praticata nel nostro paese a differenza di quanto invece avviene bei paesi anglosassoni, ha comunque dimostrato di rivelarsi particolarmente efficace, sia per le aziende che per gli investitori. A questo proposito, è interessante lo studio presentato da Intermonte, in collaborazione con il Politecnico di Milano («L'Ipo come mezzo per finanziare la crescita: raccolta di capitale e utilizzo dei proceeds»), nel quale è stato approfondito il comportamento di un campione delle 97 società quotate dal 2005 al 2016 sui listini regolamentati di Borsa italiana e di come sia stato utilizzato il capitale raccolto.
Su 97 operazioni di Ipo analizzate, 22 erano Opv (offerte pubbliche di vendita) mentre le rimanenti 75 erano operazioni di Ops/Opvs, con parte delle azioni (o tutte) di nuova emissione e raccolta di nuovo capitale di rischio. Dopo la quotazione, il 28% delle imprese non ha effettuato acquisizioni di rilievo, mentre un altro 28% ha deciso di deliberare una sola acquisizione: per il 38% delle «matricole» l'investimento fatto nelle operazioni di M&A ha rappresentato più della metà del capitale raccolto all'Ipo.
Un dato di rilievo che emerge dallo studio è che le società quotate dal 2009 al 2015 sono state capaci di offrire performance in media positive e superiori rispetto all'indice di mercato (21,1% in più in media rispetto all'indice, a un anno dalla quotazione; +9,2% se si considerano solo le Ops e Opvs). Le Opv battono gli indici di mercato nell'arco di tutto il periodo analizzato (26,9% in più in media rispetto all'indice, a un anno dalla quotazione) e, in particolare. dal 2009 al 2015 (con un 38,93% in più in media rispetto all'indice, a un anno). Tra le Ipo che negli ultimi 36 mesi hanno registrato le migliori performance figura Technogym: la società leader negli articoli sportivi ha esordito in Piazza Affari il 3 maggio 2016 e, in meno di un anno, ha raddoppiato il suo valore (passando dai 3,25 euro dell'Ipo agli attuali 6,68 euro). Molto positiva pure la performance di Cerved. il più grande information provider in Italia e una delle principali agenzie di rating in Europa: dai 5,1 euro della Ipo del 24 giugno di tre anni fa, si è arrivati ai 9,24 euro di oggi (+81%).
Risultati di rilievo pure per la Ipo di Fineco (+72% dal 2 luglio 2014), di Rai Way (+65% dal novembre 2014), di Ovs (+41% dal marzo 2015), di Inwit (+35,4% dal giugno del 2015) e di Anima Holding (+33% dall'aprile di tre anni fa).
«La quotazione rappresenta una fase molto importante del ciclo di vita di un'impresa, spesso accompagnata da profondi cambiamenti. L'Ipo è un'opportunità di raccolta di nuovi capitali volti a finanziare investimenti e M&A (fusioni e acquisizioni) per le imprese», commenta Fabio Pigorini, ad di Intermonte, responsabile per le attività di Investment Banking.
Diventa quindi fondamentale per gli investitori - aggiunge - comprendere le strategie di investimento delle società che si intendono quotare, individuando i percorsi destinati a creare valore, e, per le aziende, presentarsi sul mercato con una struttura dell'offerta coerente con le proprie strategie di crescita organica e per linee esterne».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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