Quote latte e Roma Capitale: smontano il "sistema Lega"

Debutto anti Carroccio per l’esecutivo Monti: cancella il ministero del Federalismo, istituisce quello della Coesione e chiede agli allevatori del Nord di pagare le multe Ue

Quote latte e Roma Capitale: smontano il "sistema Lega"

Roma - Un governo di coesione nazionale o di disintegrazione padana? I timori dei leghisti trovano conferme giorno dopo giorno, giustificando la scelta di stare fuori dalla maggioranza pro-Monti, considerata espressione di poteri ostili alla Lega Nord. In effetti, in una settimana dal battesimo dell’esecutivo (a trazione quirinalizia), sono partiti già quattro siluri che sembrano radiocomandati proprio su via Bellerio. Primo, la cancellazione del ministero del Federalismo e il potenziamento della Coesione territoriale. Secondo, il via libera al secondo decreto su Roma capitale, come primo atto del nuovo governo, quasi una provocazione anti Lega. Terzo, l’appello di Napolitano per la cittadinanza ai figli degli immigrati («È una assurdità e una follia che dei bambini nati in Italia non diventino italiani. Non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale»), un affronto per le orecchie leghiste. Quarto, l’avviso agli «splafonatori» delle quote latte, cari alla Lega, arrivato dal ministro dell’Agricoltura Mario Catania a poche ore dal suo giuramento: «Gli allevatori paghino le multe sulle quote latte. Ci sono delle regole, vanno rispettate». Un inizio peggiore di così, per il Carroccio, è difficile immaginarlo.
Questo è l’effetto di due fattori. Da una parte, l’influenza che sulla genesi dell’esecutivo ha avuto l’Udc di Casini, probabilmente il partito più anti Lega di tutto il Parlamento (l’unico che nelle commissioni ha votato sempre contro il federalismo fiscale). Dall’altra, un nuovo e difficile rapporto tra il Quirinale e il Carroccio. Detto in parole semplici: Napolitano è tornato ad essere visto, com’era da ministro dell’Interno, un nemico di Bossi & Co. La luna di miele col capo dello Stato è finita bruscamente, e il risveglio ha riportato indietro l’orologio al 1992 (quando Napolitano vedeva nella Lega un «rischio di violazione della legalità repubblicana», come scrive lui stesso nell’autobiografia per Laterza Dal Pci al socialismo europeo). I colonnelli sono pronti a mobilitare le piazze per opporsi al progetto di Napolitano, sostenuto da Pd e Terzo polo. La perorazione migratoria di Napolitano, quella semmai è follia, contrattaccano i leghisti: «La vera follia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo “ius soli” e non sullo “ius sanguinis”, come prevede la legge. La Lega Nord è pronta a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze». L’ex viceministro Castelli ritiene le parole del presidente della Repubblica «al limite della costituzionalità». E anche Salvini non scherza: «Napolitano sta proprio esagerando». Frasi impensabili solo qualche settimana fa.
È cambiato tutto, soprattutto per la Lega. Da maggioranza a opposizione, senza più il Pdl, con un governo ostile, e il Colle (ispiratore dell’esecutivo) per nemico. Il Carroccio vede chiaramente un disegno, nel quale la Lega è una piccola macchia verde nell’angolo. Il piano si compirà con una nuova legge elettorale (chiesta all’unisono da Casini e Rosy Bindi) che deve sancire l’emarginazione delle «anomalie», come la Lega. Secondo Maroni c’è anche un premier già designato per questa terza repubblica del «post-berlusconismo e del multi-polarismo»: Corrado Passera. Quel che però i leghisti non dicono, ma pensano, è che la vera regia sia di Giorgio Napolitano. E questo è un bel problema.
Nel quadro nero anche un piccolo giallo, lanciato da un deputato dipietrista, Franco Barbato.

Al quale risultano indiscrezioni sulla «rimozione del colonnello Mantile» (gradito alla Lega) dalla struttura governativa che vigila sulle quote latte. Un falso allarme però, a quanto risulta, poiché l’ufficiale non occupa più quell’incarico ma è dirigente in Regione Veneto, con Zaia.
Di problemi la Lega ne ha già abbastanza.

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