Politica

La rabbia dello sciita: Hezbollah ci procura una valanga di guai

«I guerriglieri del Partito di Dio dovrebbero rispettare le risoluzioni dell’Onu e non sequestrare i militari israeliani»

da Tiro (Libano)

Turbante e abito talare nero, Al Sayed Ali Al Amin, 60 anni, barbone grigio è il mufti di Tiro. La più importante figura religiosa per gli sciiti nel sud del Libano, che in questa intervista con il Giornale attacca frontalmente Hezbollah. Il mufti sostiene che non tutti gli sciiti dipendono dall’Iran, che la guerra poteva essere evitata e che il partito di Allah deve consegnare i due soldati israeliani nelle sue mani alle autorità libanesi.
Fra poche ore i soldati italiani sbarcheranno sulle spiagge di Tiro. Sono benvenuti oppure no?
«Già nel 1982 i vostri soldati hanno stretto rapporti positivi con i libanesi, inoltre siamo legati storicamente dalla presenza sul Mediterraneo. Noi vogliamo mantenere e migliorare questi rapporti soprattutto se gli italiani vengono ad aiutarci a ristabilire la sovranità del nostro Stato su tutto il territorio libanese».
Lei parla di sovranità. Nel Libano del Sud è inesistente da trent’anni. Allo Stato si sono sostituiti gli Hezbollah. Cosa ne pensa?
«Abbiamo chiesto il ritorno dello Stato libanese a cominciare dal 1982, quando c’erano i palestinesi (che causarono l’invasione israeliana, nda). Certe forze libanesi si sono sostituite ai palestinesi e i loro leader politici hanno rifiutato la sovranità statale nel sud».
Si riferisce a Hezbollah?
«Sì proprio ad Hezbollah e pure ad Amal (un altro movimento sciita, nda), dato che si sono messi d’accordo tacitando la volontà della base, che al 100% vuole la sovranità libanese. I leader di Amal hanno accettato supinamente il progetto di Hezbollah di accantonare lo Stato. Così è apparso che tutti gli sciiti facessero riferimento ad Hezbollah e fossero sotto il controllo dell’Iran».
In effetti in Occidente si pensa proprio questo.
«È un’idea sbagliata perché gli sciiti non sono strumento dell’Iran. La loro fedeltà e appartenenza va allo Stato libanese e i legami con l’Iran sono religiosi e culturali. Questo genere di legami non deve andare a discapito del legame con la propria patria. Ammetto che una parte degli sciiti (Hezbollah, nda) ha relazioni politiche e militari con l’Iran, ma ciò non significa che tutti gli sciiti devono accettare questa situazione».
Molti media hanno fatto passare l’idea che la stragrande maggioranza degli sciiti sia pro Hezbollah. Non è d’accordo?
«No. Hezbollah ha una grande forza economica, mediatica e militare che ha fatto apparire agli occhi dell’Occidente e del mondo che tutti gli sciiti sono con loro».
Lei è favorevole al disarmo dei miliziani del partito di Allah?
«Non c’è dubbio che i combattenti di Hezbollah dovranno venire integrati nelle forze armate libanesi. A sua volta il loro partito deve integrarsi completamente nel sistema politico ed istituzionale libanese, nel rispetto della sovranità dello Stato».
Questa guerra era necessaria?
«Penso che questa guerra fosse evitabile. Con pazienza e saggezza si poteva ottenere la liberazione dei prigionieri libanesi in Israele, senza arrivare a tanta distruzione».
Mi sta dicendo che gli hezbollah non dovevano rapire i soldati israeliani, che ha dato il via al conflitto?
«Gli hezbollah avrebbero dovuto rispettare le risoluzioni dell’Onu e la linea blu che divide Israele dal Libano facendo attenzione alla situazione internazionale. Dovevano sapere che questa operazione poteva essere la scintilla di una guerra e quindi non avrebbero dovuto organizzare il sequestro».
La maggioranza degli sciiti la pensa come lei?
«Non c’è dubbio. Ho parlato con intellettuali e gente del popolo».


Come andrebbe risolta questa delicata vicenda?
«La soluzione è che i due soldati vengano consegnati alle autorità libanesi, che poi penseranno a negoziare e risolvere il problema con Israele».

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