"Racconto vita e morte del sarto Reichelt che volò dalla tour Eiffel"

Lo scrittore, vincitore del Goncourt opera prima, riscopre la tragica fine di un pioniere del volo

Un uomo si lancia dalla Torre Eiffel. È avvolto da una strana imbracatura, che dovrebbe aprirsi come un paracadute. Ma non funziona. E così Franz Reichelt, un sarto di origine boema, muore sul colpo. È il 4 febbraio 1912 e qualcuno, a Parigi, filma la sua morte in diretta. Da quelle immagini nasce Il sarto volante, il romanzo con cui Étienne Kern ha vinto il Goncourt opera prima 2022 (L'orma, pagg. 130, euro 16; traduzione di Anna Scalpelli). L'autore ne parlerà a Più libri più liberi, la fiera di Roma, domenica 11 dicembre (ore 14.15).

Étienne Kern, come ha scoperto la vicenda di Reichelt?

«Qualche anno fa, su internet, mi sono imbattuto in un vecchio cortometraggio che non avevo mai visto prima. Era stato girato nel 1912 ed era un servizio del cinegiornale Pathé-Journal, che all'epoca proiettava questi filmati prima dell'inizio dei film nella sale. Insomma, si vede un uomo, Franz Reichelt, saltare dal primo piano della Torre Eiffel - parliamo di 57 metri d'altezza! - con un paracadute di sua invenzione. Ecco, quel giorno non ho soltanto scoperto una nuova storia, ma ho avuto la sensazione di aver incontrato qualcuno».

Perché l'ha colpita?

«In un certo senso, tutto di quel cortometraggio mi ha colpito: l'evento in sé, l'assurda morte di un inventore; gli echi mitici che vi risuonano, come la caduta di Icaro; il fatto che ne esista un filmato, per di più del 1912, ovvero agli albori della storia del cinema e che il dramma di Reichelt si sia consumato in un luogo iconico come la Torre Eiffel».

Cosa rappresentano Reichelt e la sua impresa fallita?

«Su piattaforme come YouTube, molti utenti commentano il cortometraggio con ilarità, perché vedono in Reichelt una figura grottesca. Così ho cercato di ricostruire il suo percorso umano, per rendergli dignità: era un idealista incredibilmente coraggioso. È vero, ha fallito, ma il suo fallimento è stato talmente assoluto da divenire sublime, come quello dei martiri».

Come si intrecciano la storia di Reichelt e quella della sua stessa famiglia?

««Mio nonno materno, che era tedesco, è morto precipitando da un balcone, a causa del distacco della balaustra; è successo prima che nascessi, ma è una tragedia che appartiene da sempre alla mia memoria. Dopo aver cominciato a fare ricerche su Reichelt ho scoperto che era di origine austriaca e che lavorava come sarto e, a quel punto, il legame tra le due storie mi è parso ancora più nitido».

Il sogno e il fallimento di Reichelt sono molto umani e insieme fanno paura: è questa la sua attualità?

«Mi fa piacere che abbia percepito come attuale la storia di Franz Reichelt. Era proprio quello il mio intento: evidenziare l'umanità del suo gesto. Lui non era un aviatore ma, se avesse funzionato, il suo paracadute sarebbe servito a salvare la vita di molti piloti. La sua è una storia che contiene dei tratti universali: la spaventosa fragilità dell'esistenza e la volontà di costruire un ideale più grande di sé».

Com'era la Parigi del 1912?

«Parigi viveva la sua età dell'oro: il mito della Ville-Lumière attirava enormi folle, l'Esposizione universale del 1900 era stata uno straordinario successo, ed era considerata una delle capitali più moderne al mondo. E la Torre Eiffel, inaugurata nel 1889, era il simbolo di quella modernità. Ma nell'aria c'era qualcosa di inquietante: di lì a poco sarebbe scoppiata la Prima guerra mondiale, e avrebbe colto tutti di sorpresa, mettendo fine alla Belle-Époque».

Una Belle-Époque di progresso in cui trionfa il mito del volo.

«L'opinione pubblica dell'epoca era estasiata: gli aerei erano il simbolo dell'ultra-modernità per antonomasia. L'altro aspetto che mi ha ammaliato nella storia di Reichelt è proprio il fatto coniughi tre grandi simboli della modernità: l'aereo, la Torre Eiffel e il cinema».

Il fatto che il video di Reichelt sia stato uno dei primi a mostrare una morte in diretta lo rende ancora più attuale?

«Certo, senza quel cortometraggio del 1912 Franz Reichelt non sarebbe mai entrato nella memoria collettiva. Il filmato ce lo rende contemporaneo: lo vediamo togliersi il berretto e sorridere alla cinepresa, è uno di noi. E poi YouTube ci permette di vivere un'esperienza straniante: una volta guardato il video, ci basta un clic per farlo ripartire... E, a ogni replica, Franz torna a essere vivo. È morto oltre un secolo fa, ma possiamo sempre rivederlo vivo».

Nessuno lo fermò...

«Stando ai documenti amministrativi, Reichelt aveva ricevuto l'autorizzazione per testare la sua invenzione dalla Torre Eiffel, ma il permesso era relativo al lancio di un manichino vestito con la tuta paracadute. Quindi, i poliziotti che quel 4 febbraio 1912 lo videro arrivare senza manichino e con indosso la tuta, avrebbero dovuto impedirgli di accedere alla Torre... Ma non sapremo mai cosa è successo davvero quel giorno: forse gli agenti erano curiosi di scoprire fino a che punto si sarebbe spinto? Oppure erano animati dal desiderio inconfessabile di assistere a uno spettacolo macabro?».

Che tipo di indagini ha fatto per il libro?

«La mia ricerca si basa su testi di storia e soprattutto sui quotidiani dell'epoca. Reichelt stava partecipando a un concorso, il concorso Lalance, che metteva in palio un premio per chi fosse riuscito a inventare un paracadute per gli aviatori. E forse sperava anche di ricevere finalmente un riconoscimento dal suo Paese di adozione: un anno prima, infatti, aveva richiesto e ottenuto la cittadinanza francese. Nel mio romanzo, a queste considerazioni si intrecciano anche la fedeltà a un amico scomparso e una storia d'amore».

E se ce l'avesse fatta?

«Credo che, se Reichelt fosse riuscito a fare quel che voleva, sarebbe caduto nel dimenticatoio: nessuno si ricorda di Frédéric Bonnet, l'uomo che si è aggiudicato il premio Lalance in quel dicembre del 1912, e lo stesso dicasi per il suo paracadute. In ogni caso, è proprio in virtù del fallimento che ho deciso di consacrare un romanzo a Franz Reichelt...».

È il suo fallimento a renderlo speciale?

«Non voglio dire che i fasti della storia dell'aviazione non siano affascinanti, ma a me la grandezza non interessa poi tanto. La trovo meno romanzesca della sconfitta. O, per dirla con Alfred de Vigny, la vera grandezza è insita nella maestà della sofferenza umana.

Azzarderei persino che questa massima nutra il cuore stesso del romanzo inteso come genere letterario, soprattutto in opposizione al suo avo, l'epica: il romanzo è una celebrazione del fallimento e della perdita».

(Traduzione di Nicolò Petruzzella)

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