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La ragazza che decise Capo Matapan

La notte del 29 marzo 1941, la flotta inglese in tre minuti affonda quattro navi da guerra italiane. Vanno a picco due incrociatori e due cacciatorpediniere. Muoiono più di 2300 marinai, molti per il ritardo dello stato maggiore nell’organizzare i soccorsi. Da parte inglese, le perdite sono di tre uomini: l’equipaggio di un aerosilurante che, qualche ora prima, era riuscito a danneggiare la corazzata Vittorio Veneto. Capo Matapan è fra le pagine più nere nella storia della marina militare italiana. È stata peggio di una sconfitta: è stato «un fatto d’armi che ha più le caratteristiche di un agguato con massacro che di una battaglia».
La definizione è di Massimo Zamorani, giornalista e scrittore che a tale evento dedica il libro-inchiesta L’agguato di Matapan (Mursia, pagg. 320, euro 18,50). Viene da chiedersi che cosa abbia spinto Zamorani a occuparsi dopo sessantacinque anni di una vicenda che, forse, per la cosiddetta carità di patria, sarebbe meglio cancellare dalla memoria. La ragione sta nel fatto che su Matapan restano ancora tanti punti oscuri. L’inchiesta di Zamorani riesamina tutte le «verità» che sono state scritte negli scorsi decenni, ne demolisce alcune e ne autentica altre ma, soprattutto, aggiunge ulteriori elementi che aiutano a capire la dinamica della tragedia. Secondo una certa letteratura, per esempio, la flotta italiana andò dritta in pasto agli inglesi perché le nostre navi erano sprovviste di radar. La realtà che emerge dal libro è un po’ diversa. Gli inglesi avevano i radar e li avevano installati sulle loro migliori unità. Noi li avevamo ma li tenevamo sigillati in una palazzina dell’accademia navale di Livorno in spregio agli sforzi del fisico Ugo Tiberio che li aveva progettati e costruiti.
Detto questo, si può spiegare l’epilogo del combattimento notturno che, grazie alle apparecchiature elettroniche, per i britannici fu una sorta di tiro a segno. Ma non si spiega, invece, come mai la flotta inglese si sia mossa tempestivamente dal porto di Alessandria d’Egitto per intercettare quella italiana. Dall’inchiesta di Zamorani viene fuori finalmente come abbia fatto Londra a conoscere con grande anticipo i movimenti delle nostre navi. Non fu certo grazie al radar e, almeno per una volta, neppure colpa di ammiragli traditori.

Fu, invece, l’abilità nel decrittare i messaggi cifrati di una ragazza di diciannove anni, Mavis Lever, che lavorava per l’Intelligence Service. E forse, considerando il ruolo-chiave della Lever e il lavoro incompreso del professor Tiberio, s’intuisce perché gli inglesi hanno vinto a Matapan: loro usavano le persone di talento, noi no.

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