Ragazzo italiano morto in un carcere francese In una lettera alla madre: "Qui mi maltrattano"

Il ragazzo in cella da cinque mesi per una carta di credito, aveva scritto alla famiglia di continue violenze. Per la polizia lo ha stroncato un infarto. I parenti, avvisati con tre giorni di ritardo, non hanno potuto vedere la salma. La madre: "Non ci credo"

Ragazzo italiano morto in un carcere francese 
In una lettera alla madre: "Qui mi maltrattano"

Parigi - Il nostro connazionale in questi mesi di detenzione in Francia aveva scritto diverse lettere alla madre Cira raccontando anche di aver subito soprusi, maltrattamenti e di non essere stato curato quando aveva avuto la febbre molto alta. Il decesso, secondo le autorità francesi, sarebbe avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, ufficialmente «per arresto cardiaco».

I familiari hanno appreso la notizia soltanto dopo tre giorni. Oggi dovrebbe essere effettuata l’autopsia e il legale della famiglia ha già chiesto che vi prenda parte un medico italiano di fiducia. A quanto pare inutilmente.

Franceschi era andato in vacanza in Costa Azzurra nel marzo scorso con alcuni amici. Il gruppo aveva deciso di trascorrere una serata al casinò ma quando Daniele si era presentato a pagare le fiches esibendo una carta di credito gli addetti avrebbero notato qualcosa di strano, tanto da indurli a chiamare la gendarmeria. Per il nostro connazionale erano scattate le manette.

Da lì in poi, mistero. Per questo l’avvocato Aldo Lasagna, legale della famiglia della vittima, fa appello alle autorità italiane e al console per cercare di arrivare alla verità. A quanto pare irta di ostacoli. La madre di Franceschi arrivata ieri a Nizza accompagnata da due parenti non ha potuto vedere la salma del figlio. Ufficialmente «perché è in corso l’inchiesta».

Secondo quanto si è appreso, il vicedirettore del carcere d’Oltralpe ha riferito che Franceschi, 36 anni, è morto in cella per un infarto fulminante.

Marco Antignano, zio di Daniele racconta i momenti concitati e dolorosi che la sua famiglia sta vivendo. La sorella Cira Antignano, intanto ha presentato un esposto informale alla Farnesina.
«In questa vicenda molte cose non quadrano», spiega Antignano. «All’autopsia non potrà partecipare nessun medico di nostra fiducia, né italiano, né francese: la motivazione ufficiale è che la procedura di nomina sarebbe stata troppo complessa. In più, i tempi si sono accorciati perché l’esame autoptico, prima fissato per martedì, è stato anticipato di un giorno, a domani».

Antignano ricorda che in questi cinque mesi il nipote aveva atteso invano il processo. «C’erano state alcune udienze, sempre rimandate - dice -. Era complicatissimo andare a trovare mio nipote. Mia sorella era riuscita a entrare in carcere solo due volte, ogni volta l’avevano controllata in una maniera non solo minuziosa ma anche umiliante. Il ragazzo era tranquillo ma parlava e scriveva di soprusi, di ore di lavoro estenuante. Recentemente, si era rifiutato di lavorare oltre il dovuto in cucina. Subito dopo, se ne era pentito temendo ritorsioni. Aveva paura che lo mettessero in una cella con qualche detenuto pericoloso. Raccontava che ce l’avevano particolarmente con gli italiani, forse, diceva lui, “a causa del calcio”».

Sono state fornite, inoltre, racconta lo zio, versioni discordanti sull’ultimo giorno di vita di Daniele. «Io ho parlato con il direttore del carcere, dopo la notizia della morte, e lui mi ha spiegato che l’avevano controllato in cella alle 13,30, e Daniele stava bene. Poi, alle 17, durante il controllo seguente, l’avevano trovato morto. All’avvocato francese che ci assiste, è stato invece detto che, siccome Daniele non stava tanto bene, l’avevano portato in infermeria e gli avevano fatto l’elettrocardiogramma. Dato che il risultato era stato negativo, l’avevano riportato in cella».

«Non si può morire a 36 anni, dicendo che ha avuto un infarto fulminante, quando mio figlio non ha mai sofferto di cuore»; accusa Anna Cira Antignano, la madre, parlando ai microfoni di SkyTg24. «Gli hanno fatto qualcosa, non me lo leva dalla testa nessuno che gli hanno fatto qualcosa».

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