"Un ragionevole dubbio", legal-thriller senza pathos

Disconosciuto dal suo stesso regista, arriva nei cinema un poliziesco poco coinvolgente perché insopportabilmente prevedibile

"Un ragionevole dubbio", legal-thriller senza pathos

Quando un autore al termine di un'opera decide di firmarla con uno pseudonimo, spesso è probabile che lo faccia per prenderne le distanze. Sembra essere quel che è successo a Peter Howitt, regista anni fa del cult "Sliding Doors", che ha scelto di nascondere la paternità di "Un ragionevole dubbio", legal-thriller attualmente nelle sale, rinominandosi Peter P. Croudin. Una mossa più che comprensibile dato che il film in questione appare come la fotocopia di molti altri, al netto però di pathos, suspense e mistero.

Mitch Brockden (Dominic Cooper) è un giovane avvocato dalla vita perfetta: sua moglie gli ha appena dato una bambina e professionalmente non ha mai perso una causa. Una sera esce a far baldoria con i colleghi e, sulla via del ritorno, trovandosi al volante ubriaco e volendo evitare una pattuglia della polizia, finisce con l'investire un uomo. Terrorizzato dalle possibili conseguenze, fugge via subito dopo aver chiamato, in forma anonima, un'ambulanza. Il giorno dopo, però, per la morte di quell'uomo, viene arrestato un meccanico, Clinton Davis (Samuel L. Jackson). Mitch, sapendo che Clinton è innocente, si fa assegnare il caso e manipola la procedura in modo da garantirgli l'assoluzione. Ben presto, però, se ne pentirà.

L'incipit della pellicola è abbastanza intrigante ma ciò che segue sembra realizzato senza particolare entusiasmo e indirizzato ad una sconcertante mediocrità. Nonostante si tenti di rendere le caratterizzazioni dei protagonisti un po' meno vaghe dotando di un passato traumatico il personaggio dell'imputato e di un fratellastro ex galeotto quello dell'avvocato, l'opera resta con grandi problemi strutturali perché non c'è nulla da scoprire che possa generare la giusta tensione. In un siffatto panorama va sprecata purtroppo la presenza di un grande attore come Samuel L. Jackson, qui alle prese con un personaggio bidimensionale.

Come capita sempre più spesso quando si tratta di genere crime, film nati per il grande schermo risultano, in termini di creatività e qualità, inferiori a certe premiatissime serie tv americane attuali.

Un prodotto come questo, che forse non avrebbe meritato la sala cinematografica neppure negli anni 80 al cospetto di un pubblico meno esigente di quello odierno, avrà più successo una volta approdato all'home video. Consolante è che il passo falso sia lungo solo settantanove minuti esclusi i titoli di coda.

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