Rai, ecco la mamma di tutti gli sprechi

Inchiesta dell’Espresso: 56mila persone per fare funzionare la tv di Stato. Curzi: "Certi gruppi editoriali vogliono farci a pezzi". Landolfi: "Cacciamo gli incapaci"

Rai, ecco la mamma 
di tutti gli sprechi

Roma - Gli addetti ai camerini son 67, gli arredatori 66, i falegnami 61 e tra consulenti musicali e scenografi fan 70, ma i parrucchieri son già 114. Non è Leporello a fare il catalogo delle conquiste di un improbabile Don Giovanni, ma è l’Espresso di questa settimana che ha dedicato un ampio servizio all’«orgia del potere» della Rai, alla madre di tutti gli sprechi. O, più semplicemente, alla relazione messa a punto dal Comitato istruttorio per l’amministrazione di Viale Mazzini e composto in formazione bipartisan da Sandro Curzi, Marco Staderini, Nino Rizzo Nervo e Giuliano Urbani.

Quante persone suggono latte dal seno di mamma Rai? Si tratta di 13.248 unità. Come gli abitanti di Portoferraio, sull’Isola d’Elba. Per la precisione 11.250 sono i dipendenti a tempo indeterminato del gruppo Rai (9.889 nella spa) e 1.998 quelli a tempo determinato. E non finisce qui: bisogna pure conteggiare circa 43mila contratti di collaborazione (come i cittadini di Rieti) e si arriva alla cifra di oltre 56mila unità. È come se tutti gli abitanti della Groenlandia o di Foligno o più che a Mantova lavorassero all’ombra del cavallo di bronzo. Ma basta guardare alle singole divisioni che i numeri, sebben più piccoli, incutono ancor più timore: la Direzione produzione Rai conta 3.851 persone, 800 in meno dell’intero gruppo Mediaset, cioè del principale concorrente che ha a libro paga 4.635 dipendenti.
«Verificare la capacità dei “capi” di governare uomini e processi produttivi», raccomandano i componenti del Comitato. Una parola. Come si fa a tagliare i rami secchi in un’azienda che, non contenta di un’orchestra sinfonica di 116 elementi, peraltro inutilizzata da anni, ne mette sotto contratto un’altra, leggera, da sedici strumentisti? Per non parlare di Bolzano e Trieste dove lavorano ben 5 annunciatori, e a Firenze addirittura un geometra.

Quando Fiat comprò l’Alfa Romeo dall’Iri si favoleggiava che ad Arese le segretarie avessero a loro volta a disposizione delle segretarie. La Rai, che sempre della famiglia Iri faceva parte, ha proseguito la tradizione: nella segreteria del consiglio di amministrazione figurano 28 elementi e 49 alla Direzione generale (compresi i distaccati verso società del gruppo). Ben 397 lavorano ai Servizi generali, 142 all’Amministrazione e 679 alle Riprese pesanti, ma deve trattarsi di una fatica di Sisifo altrimenti il numero non si giustificherebbe. Basti pensare che il Comitato istruttorio ha usato l’aggettivo: «abnorme».
Il fortunato slogan «di tutto, di più» vale anche per i giornalisti. Sono in totale 1.771. I vicedirettori sono 54, quasi cinque per ognuna delle 11 testate. Niente male, soprattutto se si pensa che realtà recenti come il canale satellitare RaiNews24 in poco più di otto anni di servizio si è espanso fino a contare 122 dipendenti dei quali 94 sono giornalisti. Peccato che la sfida con SkyTg24 non sia stata vinta. Eppure 94 giornalisti non sono pochi: sono dieci in meno del Tg5 e del Tg3. Ìmpari il confronto con Tg2 (126) e Tg1 (136).
Eppure i dati sconvolgenti sono altri come quelli che riguardano Raitalia (ex Rai International), rivolta agli italiani all’estero e diretta da Piero Badaloni: vi lavorano 152 persone in totale tra i quali 39 giornalisti assunti dei quali 22 graduati e cinque con qualifica e stipendio di vicedirettori. I generali, in questo caso, sono più dei soldati, ma è un dettaglio. «Abbassa la tua radio, per favor» cantava Rabagliati nel 1940. Alla Rai non ci pensano nemmeno: programmi, Gr e Gr Parlamento valgono 754 anime. E mercoledì scorso il direttore Antonio Caprarica ha nominato il suo ottavo «vice». Altro che abbassare il volume. D’altronde, che cosa sono 754 persone rispetto ai 1.507 addetti che lavorano per testate e centri di produzione regionali? Semplicemente la metà. Ma la Rai vanta pure un altro record: ventidue squadre di ripresa, numero che non ha pari in Europa. Eppure il 22% della produzione è affidato all’esterno.

E come se tutto questo non fosse abbastanza c’è anche il capitolo relativo ai contenziosi, spesso rappresentati da cause di lavoro: il costo medio è di 100mila euro, 150 il numero di quelle perse mediamente ogni anno che fanno ipotizzare una cifra di 15 milioni di euro devoluta tra avvocati e risarcimenti.

Ma nel 2007 il gruppo Rai tutto sommato è andato bene: la perdita è stata contenuta a 5 milioni a fronte di 3 miliardi di ricavi. Al risultato ha contribuito l’aumento del canone, cioè i cittadini. Ma questa è un’altra storia.

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