Rai, in Senato il caso Fabiani La Cdl: «Prodi venga in Aula»

da Roma

Da una parte il caso Petroni-Fabiani, con il governo che la prossima settimana riferirà in Senato sull’avvicendamento all’interno del Cda Rai. Dall’altra la vecchia querelle sulla nomina di Meocci a dg di viale Mazzini, incarico per cui l’Authority per le Tlc l’ha poi giudicato incompatibile, con la Corte dei conti che chiede 50 milioni di euro di risarcimento all’allora ministro dell’Economia Siniscalco, al dg del tesoro Grilli e ai consiglieri di area cdl che votarono la nomina (Petroni, Bianchi Clerici, Staderini, Malgieri e Urbani).
Insomma, il giorno dopo la «diffida politica» dell’opposizione - che ha invitato il governo a congelare le nomine del nuovo Cda Rai fino al pronunciamento del Tar l’8 novembre - passato e presente della Rai s’intrecciano. Perché mentre la magistratura contabile chiude la fase istruttoria sul caso Meocci, la conferenza dei capigruppo del Senato dà il via libera per la prossima settimana al dibattito in aula sul caso Rai. Un appuntamento al quale il presidente dei senatori di Forza Italia Schifani si augura si presenti «o il premier o quantomeno il ministro Padoa-Schioppa». Ma il dibattito, spiega la capogruppo dell’Ulivo Finocchiaro, «non avrà effetti politici sul governo anche nel caso in cui la risoluzione dell’opposizione venga accolta». D’altra parte, aggiunge, «la Rai di problemi politici ne ha sempre posti, come quando nel 2004 mettemmo sotto il centrodestra...». La questione, però, potrebbe non essere così semplice. Tanto che Salvi, presidente dei senatori della Sinistra democratica, è cauto: «Vedremo se ci sono le condizioni per una posizione comune». Prende le distanze, invece, l’Udeur. «Il rispetto delle regole e il buon senso - dice il capogruppo alla Camera Fabris - impongono le dimissioni dell’intero Cda e la nomina di un nuovo presidente di garanzia». Ma sul punto Petruccioli è chiaro. «Questo Cda - si legge in una comunicazione del presidente della Rai al Consiglio - non è in mora e i suoi poteri non sono in alcun modo lesi. E io, per quanto dipende da me, resto qui a svolgere il mio compito». Anche nel centrodestra, però, si registra qualche incomprensione. Con il segretario della Dc per le Autonomie Rotondi, schierato per Fabiani, che fa sapere polemicamente agli alleati che «sulla Rai in Senato il governo non rischia». Così, la componete del Nuovo Psi chiede un chiarimento «urgente» interno al gruppo (che è congiunto con la Dca), perché «la nomina di Fabiani è insostenibile».
L’opposizione, intanto, continua a puntare il dito contro la rimozione di Petroni. Anche se nella querelle, è l’input che arriva da Berlusconi, non bisogna più coinvolgere il Quirinale (che ieri ha ricevuto il presidente della Vigilanza Landolfi). Secondo il Cavaliere, convinto che la maggioranza sia ormai agli «ultimi giorni di Pompei», la replica del Colle ha infatti neutralizzato dal punto di vista mediatico l’iniziativa congiunta della Cdl (che per l’occasione si era nuovamente allargata all’Udc). Tanto che pure sul Quaderno - l’approfondimento quotidiano di una trentina di pagine che deputati e senatori azzurri ricevono ogni giorno per mail - non ci si gira troppo intorno: «È stato un errore coinvolgere il capo dello Stato».

Così, mentre Fini ribadisce che dopo lo «strappo» su Fabiani «è chiuso ogni dialogo sulle riforme», il coordinatore di Forza Italia Bondi augura che si torni alla politica per «scongiurare il rischio di pericolose tensioni». Perché, gli fa eco il suo vice Cicchitto, «la scelta di Fabiani» non è solo «l’occupazione della Rai» ma «implica progetti economici molto più ambiziosi, una presa del potere molto più penetrante».

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