IL RAMMENDO DI PASQUA

Io di gravi e sanguinosi terremoti ne ho visti molti, quasi tutti: Gibellina nel ’68, il Friuli nel ’76, la catastrofe del sud del 1980. La politica ogni volta entrò con prepotenza e rancore: le mancate costruzioni sismiche, l’orgia delle tangenti nel Napoletano, il confronto brutale fra comportamenti dei friulani e dei campani, e poi infine il terremoto dell’Umbria di un decennio fa, e insomma posso dire di averne viste e raccontate abbastanza. Questa volta, con l’Abruzzo, c’è stato qualcosa di diverso. Il clima da guerra civile latente si è smorzato e un clima da vero, profondo, sentito lutto nazionale ha avvolto gli italiani. Io sono un tipico italiano antitaliano, così come ci sono gli italiani arcitaliani. Io ho un po’ orrore e un po’ pena del mio popolo e talvolta mi aiuta mia moglie Jill americana con sangue anche italiano (oltre che irlandese e svedese) e stavolta è stata lei a dirmi – io non guardo più la televisione da anni ma seguo Internet - «be positive, by proud», guarda positivamente, sii orgoglioso. Se facciamo il confronto con l’uragano Katrina che devastò New Orleans e la Louisiana, l’Italia ha dato di sé un’immagine superba. Prima di tutto le vittime, questi abruzzesi che sono sempre stati i soldati e i contadini e i pastori e gli operai duri e resistenti, gli uomini e le donne più forti, insieme ai nostri montanari delle Alpi: la montagna crea popoli silenziosamente eroici. E poi tutti: la protezione civile ma prima di tutto i volontari, la commozione solidale popolare e infine i partiti che non hanno fatto sciacallaggio.
Poiché tutti conoscono il mio attuale profondo dissenso da Silvio Berlusconi, voglio in questo caso dare atto al presidente del Consiglio di aver fatto ciò che i suoi predecessori non hanno mai fatto in passato: andare e stare e restare e consolare e provvedere. È stata per lui, anche, buona pubblicità e pubblicità buona. Poi, siccome è il solito incontinente, non ha saputo evitare di dire che stare sotto la tenda era come trovarsi in campeggio, ma poco male: sempre meglio di Bush che durante l’uragano che sconvolse la Louisiana se ne andò in vacanza a Camp David. Quel che succedeva in Italia è stato visto da tutte le televisioni del mondo, da tutti i popoli del mondo e gli italiani sono apparsi civili, efficienti, composti, uniti, dignitosi, organizzati, hanno mostrato un dolore condiviso oltre al dolore dei singoli, delle vittime, delle madri che dicevano senza urlare: «Ora dovete seppellire anche noi perché i nostri figli sono morti e le nostre vite sono finite».
E la politica, dicevamo, nel suo complesso ha seguito la dignità popolare, l’ha capita, non ha interposto rumori estranei al dolore. E in questo fatto io credo che si debba riconoscere un ulteriore passo verso la dignità e verso un rammendo (per ora soltanto un rammendo) della sfiducia popolare nel mondo politico complessivo. E, va detto, anche e specialmente la principale forza di opposizione, un’opposizione peraltro di sua natura molto tenue, il Partito democratico di Dario Franceschini, ha fortemente contribuito a separare il piano della competizione politica ed elettorale da quello dell’unità dei sentimenti e della solidarietà intorno alle vittime del terremoto. È stato anche questo un piccolo passo avanti verso quella riconciliazione nelle regole, e non soltanto in chiave sentimentale del «volémose bene», di cui il tessuto sociale italiano, lacerato e avvelenato, ha bisogno se vuole sopravvivere come società, come cultura, come nazione.
Ci sono state eccezioni bastarde, naturalmente, come quelle della televisione tossica e infernale che spurga malore e disinformazione gridando all’automartirio, ma anche quella è ormai una costante genetica dell’identità italiana e per quanto dia i brividi e sia offensiva, tocca tenersela.
Ma nel complesso il Paese ha tenuto meravigliosamente ed è arrivato a questa Pasqua cristiana, preceduta dalla Pesach ebraica, trovando in questa festa - antica come la celebrazione pagana della dea Easter o Eastre - il simbolo della liberazione dalla schiavitù egiziana, della resurrezione cristiana, del passaggio ad un livello ulteriore e superiore del ritorno alla vita dopo la morte, alla libertà dopo la servitù. No, nulla di magico o di mistico, o di metafisico: anzi, di totalmente fisico, di tangibile, di umano, di sangue e fango, di freddo e lacrime, di sgomento e dolore, di mani che si scuoiano sulle macerie, di bambini che cercano la madre, di madri che cercano i figli, di persone che hanno perso la memoria, l’identità, la casa, la temperatura del corpo, la sensazione della propria lingua. Io ricordo me stesso quando nella notte romana del terremoto sono stato svegliato dalla forte scossa che ha trascinato i letti e fatto tinnire le lampade e sono corso a vedere i miei figli nei loro letti. In quel momento altri figli morivano nei loro letti e altri padri non trovavano che poltiglie di capelli e di sangue dove avevano rimboccato le coperte poche ore prima.
Ma è la misura del dolore che fornisce anche la figura della reazione al dolore, del ritorno all’organizzazione, ai soccorsi, al superamento momentaneo del trauma e all’arrivo di migliaia di cittadini da tutte le parti d’Italia che si sono precipitati a condividere il gelo notturno e le pene degli umani, mentre il mondo intero guardava impietrito e con grande rispetto, per non dire ammirazione, questi italiani così fuori cliché, così uniti e laboriosi, così sentimentali ma con forti muscoli e il peso delle notti insonni. E anche la politica ha saputo adeguarsi, ha saputo capire, ha saputo mettersi in fila. Governo e opposizione hanno fatto un buon lavoro, ma il miglior lavoro lo hanno fatto le vittime, gli abruzzesi e gli italiani in genere. Oggi è la Pasqua cristiana ed è una Pasqua di dolore e di depressione. Ma è anche una Pasqua d’orgoglio che unisce credenti e non credenti, gente di destra e di sinistra, giovani e vecchi. Certo, non siamo alla pacificazione e anzi una certa dose di sana divisione è buona e sana per la democrazia e per l’organizzazione delle passioni e delle critiche dei diversi modi di sentire.

Ma il senso di responsabilità ha saputo diventare un oggetto fisico reale, come le tute dei vigili del fuoco con le bande gialle, come le facce scavate e forti di chi ha dato tutto se stesso nella tragedia affinché la vita possa risorgere almeno nel corpo della società, se non nei corpi di chi non è più vivo.
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