La diversità comincia dalla somiglianza. Questa frase sta scritta accanto alla foto di due gemelline francesi, Pauline e Céline. Vestite da collegiali, i capelli color ruggine, il volto diafano, sguardo innocente che buca l'obiettivo. Didascalia che spiega unanalogia che confonde, una particolarità che accomuna le due piccine fino a distanziarle, estraniarle dal mondo. Il messaggio è chiaro e netto come il taglio di una lama e fa di Gérard Rancinan uno dei fotografi più abili nell'avventurarsi tra le profondità dell'animo umano. L'ambito delle diversità è uno dei suoi campi di investigazioni preferiti ed è una delle tre sezioni, la più toccante, della mostra monografica a lui dedicata e aperta da oggi fino al 2 settembre alla Triennale Bovisa, via Lambruschini 31. «Rancinan. La trilogia del Sacro Selvaggio», questo il titolo, raccoglie 160 immagini di grande formato sui temi dell'Arte, dell'Altro e della Fede. Tre mondi apparentemente distanti eppure legati da un unico filo: la conoscenza del prossimo. I suoi ritratti agli artisti del XX secolo, da Damien Hirst a Maurizio Cattelan, da Marina Abramovic a Paul McCarty, inquadrati nelle pose più assurde, sono la prima parte del viaggio. Inquadrature sorprendenti sono anche quelle dedicate ad alti esponenti del cattolicesimo contemporaneo: il cardinale Dionigi Tettamanzi, Claudio Hummes arcivescovo di San Paolo in Brasile, il cardinale Philippe Tabarin, arcivescovo di Lione o Angelo Scola, patriarca di Venezia. Sembrano inseriti in un quadro di Goya o Velázquez, sembrano tridimensionali, sospesi tra carnalità e spiritualità, fisica e metafisica.
Questo fa, Rancinan. Compenetra altre vite, ritraendole, spinto dalle sue pulsioni d'amore per gli individui in bilico tra primitivismo e ingenuità, violenza e remissione, paganesimo e divino, sacro e profano. Nei suoi scatti ai «diversi» va in scena il festival del brutto. Non come in Diane Arbus o Andres Serrano che tendono a documentare la realtà, o in Joel Peter Witkin, che allestisce scenette teatrali esasperando le posizioni. Per Rancinan il soggetto è sempre un individuo, difformità significa particolarità da esaltare, elogiare, capire. Impossibile definire il confine tra il nostro mondo e il loro. Per la sua donna barbuta, docente del California Institute of Art e direttrice del Circo Amok, le convenzioni sono sfide a legittimare la sua diversità dagli altri; per il trapezista-lupo messicano affetto da ipertricosi, il paradosso, come lui stesso afferma, è che la sua condizione gli permette di scegliere autonomamente chi vuole avvicinare. C'è Jeffrey, nero newyorkese colpito da vitiligine: la sua pelle puntinata sembra il manto di un dalmata. E ci sono le quattro gemelle identiche, l'ermafrodito londinese, una pittrice senza braccia né gambe e madre di un bambino.
A cura di Virginie Luc. Catalogo Federico Motta Editore. Per maggiori informazioni, tel. 02.724341; www.triennalebovisa.it.
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