nostro inviato a Cannes
The Good, The Bad, The Weird, ovvero Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo, fuori concorso ieri al Festival, richiama fin dal titolo un film e un regista cari alla memoria del pubblico italiano, Sergio Leone. La particolarità è che il remake è opera del sud-coreano Kim Jee-Woon, quarantenne autore di Seul, al sesto film in dieci anni di carriera, già presente a Cannes due anni fa, sempre fuori concorso, con A Bittersweet Life.
Ambientato nella Manciuria degli anni Trenta, dove si incrociano banditi coreani, alti funzionari e ufficiali giapponesi, collaborazionisti e resistenti cinesi, il trio vede «Il Brutto», semplice bandito di strada, che dopo una rapina a un treno in cui ha fatto fuori il presidente di una grande banca giapponese, fra i valori di quest'ultimo trova una mappa che porta l'indicazione di un misterioso tesoro; «Il Cattivo», killer a pagamento che riceve da un boss locale l'incarico di recuperare la preziosa carta; «Il Buono», il cui obiettivo è invece incassare la ricompensa che il governo giapponese pagherà a chi gliela riconsegna.
Il film è assolutamente spettacolare, quanto ritmo, scene di massa, riprese, e per quanto sprizzi molto sangue non ha quel coté sadico tipico di una certa cinematografia orientale. Lee Byung-Hun, già protagonista dell'altro film di Jee-Woon prima ricordato, è un villain perfetto, sempre vestito di nero, guanti di pelle nera compresi, una meche di capelli neri che gli copre l'occhio destro, ma anche gli altri due protagonisti (Song Kang-Ho, ovvero «Il Brutto», è uno degli attori di punta della nouvelle vague coreana) svolgono il loro ruolo con autorevolezza, pur se nessuno di essi ha quel tocco in più di psicologia che era tipico dei film di Leone. Di quest'ultimo comunque il regista sposa quel melange ironico-tragico che segnò il meglio degli spaghetti western prima che degenerassero in caricatura. Qui, fra l'altro, a essere presa di mira è l'altezzosità giapponese in campo militare, ed è curioso come in un film di pura avventura Kim Jee-Woon non rinunci comunque a inserire elementi patriottici(la Corea era all'epoca una possedimento giapponese).
Quello che però fa il fascino del film è il paesaggio e la scenografia, ovvero questa Manciuria terra di confine dove si incontrano e si scontrano etnie e regimi, dove infuria la guerra ma non si sa mai «chi sta con chi», e dove la vita quotidiana scorre in mercati colorati e variopinti in cui l'antico e il moderno, automobili e cavalli, pugnali ed esplosivi, convivono in un fragile equilibrio.
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