Il rapporto con i cinesi: linfa vitale

I colloqui fra il Ministro Tremonti e una delegazione di Cina Credit Corporation (CCC) e forse del SAFE (State Administratiton of Foreign Excahnge) cinese - che pare possieda il 4% del debito pubblico italiano (70 miliardi) e può comprarne di più avendo un portafoglio di 3.200 miliardi di dollari - fanno seguito a quelli di Pechino di Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro di un mese fa. Ma soprattutto costituiscono il seguito di quelli che il premier Berlusconi ha effettuato nell'ottobre dello scorso anno a Roma, col primo ministro cinese Wenn Jiabao, con l'obbiettivo di raddoppiare, entro il 3015, l'interscambio fra Italia e Cina, stimato per il 2010 sui 45 miliardi di dollari.
Lo scopo era di modificare radicalmente i rapporti precedenti, che sono stati caratterizzati da scarse esportazioni italiane in Cina, appena 13-15 miliardi, e da un volume di esportazioni cinesi in Italia, di circa 30, poca cosa rispetto a ciò che la Cina esporta nel mondo, cioè 2 mila miliardi di dollari. Lo scorso anno fra Berlusconi e Jiabao si è discusso anche un maggiore utilizzo dei porti italiani. Nel frattempo è stato approvato il progetto per Termini Imerese della DR, una impresa di auto controllata della famiglia molisana De Risio, che rileverà la fabbrica Fiat e produrrà, a regime, circa 60 mila autovetture, assemblando componenti prodotte prevalentemente in Cina.
Queste iniziative e le altre che possono essere esaminate nei nuovi colloqui, rientrano fra gli obbiettivi della politica della crescita, a cui è impegnato, in questa fase, il nostro governo. È errato supporre che i cinesi avrebbero rinunciato a impiantare fabbriche di auto low cost in Europa se non avessero trovato la collaborazione con DR a Termini Imerese. Avrebbero potuto insediarsi in Slovenia, in Polonia, in Francia. E se i cinesi trovano ostacoli all'export in Italia, i loro prodotti possono venire da noi facendo il giro da Amsterdam o dal Pireo.
Il Pil della Cina dal 2011 supera quella del Giappone, che è 5 mila miliardi di dollari. La Germania, il cui Pil sfiora i 4 mila miliardi di dollari, è stata superata dalla Cina nel 2009-2010. Ovviamente mentre i tedeschi sono 82 milioni e i giapponesi 123, i cinesi sono almeno 1 miliardo e 300 milioni (nessuno ne conosce veramente il numero).
Pro capite la Cina è molto indietro, ma in valore assoluto è la seconda economia del mondo dopo gli Usa. Sino ad ora l'Italia è rimasta arretrata nei commerci con la Cina, a differenza della Germania che, scarsamente interessata nel passato a tali rapporti, di recente li ha coltivati e lo scorso anno ha realizzato un boom di export di auto e attrezzature, grazie al mercato cinese. Man mano che i costi del lavoro salgono in Cina, essa si dedica sempre di più a macchinari e macchine elettriche, che sono oramai il 35% del suo export, contro l’11% di tessile, abbigliamento, articoli di pelli e cuoio. Ma noi siamo complementari, non rivali per la Cina, perchè produciamo beni di qualità, mentre i cinesi producono beni di massa. Così è nel tessile, abbigliamento, cuoio, nell'alimentare, nell'elettromeccanica, meccanica e impiantistica.
Quel che però si deve esigere è che non ci siano contraffazioni e si conoscano le provenienze.

Ma ciò oramai dovrebbe interessare anche alle imprese regolari cinesi, che non amano la concorrenza delle irregolari. I cinesi hanno bisogno del made in Italy, noi degli investimenti cinesi e della loro merce a buon mercato. E se ci comprano anche i Bpt che altri soggetti esteri vendono avendo bisogno di contante, tanto meglio.

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