Via Rasella

La Cassazione recentemente ha sentenziato che l’attentato di via Rasella è stato un «atto di guerra». Gli attentati, da quelli anarchici contro il re a quelli delle Brigate rosse a quelli dei terroristi a quelli, sotto i nostri occhi, degli estremisti islamici, sono atti vili e non atti di valore in guerra.
Così sentenziando la Cassazione non pensa di legalizzare l’illegalità, perché quello della Cassazione è un giudizio politico e non giuridico e, a me pare, che in tutti i codici giuridici non esista alcuna legge che contempli e giustifichi l’attentato quale atto giusto. Tant’è che anche lo storico Salvatorelli così si esprime: «Trattandosi di un attentato politico di gravità eccezionale». Quindi «attentato politico» e non «atto di guerra».

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Ho letto con molto interesse l’editoriale pubblicato ieri relativo a via Rasella, ma ho riscontrato due inesattezze: 1) è vero che i Bozen erano armati, ma mi sembra cosa abbastanza ovvia visto che erano sentinelle adibite alla guardia del Quirinale; 2) non è vero che «non affissero manifesti che invitavano gli attentatori a consegnarsi»: la cosa fu confermata anni dopo dall’onorevole Amendola dicendo che non poterono presentarsi in quanto a capo di un partito. Bentivegna subì un processo a seguito della denuncia dei familiari dei caduti, ma il processo fu annullato in quanto il reato era caduto in prescrizione. La sottoscritta, figlia di un caduto (mio padre aveva un bar in via Rasella e da lì fu prelevato dopo l’attentato), anni dopo denunciò gli attentatori, ma, pur essendo stato riconosciuto l’attentato di via Rasella una strage, la denuncia fu archiviata. Feci scalpore, sentendomi chiamare «nazista» da un quotidiano perché durante il processo Priebke, ritenni utile dopo tanti anni mandare alla gogna una persona che a mio parere non fu l’unico responsabile. Denunciai il quotidiano ma nessun risarcimento mi fu riconosciuto: come vede, la Legge non è uguale per tutti. Morale della favola, gli attentatori hanno ottenuto la Medaglia d’oro al valore.
Liana Gigliozzi - Roma
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Se l'attentato di via Rasella del 24 marzo 1944 è da considerarsi un atto di guerra, pure la rappresaglia è ammessa e regolata dalla Convenzione dell'Aia, anche se nella fattispecie i tedeschi ammazzarono 5 ostaggi in più di quelli dalla Convenzione consentiti (1 a 10): 335 anziché 330. L'atto di guerra prevede che le parti contrapposte siano riconoscibili con uniformi o altro segno che le riconduca alla fazione in lotta e non risulta che la divisa di un netturbino indossata dall'eroe Bentivegna sia riconducibile ai Gap. Lo scopo non poteva essere quello di provocare la sollevazione della popolazione romana ché non esiste un solo caso di sollevazione a seguito di un attentato terroristico e conseguente rappresaglia; bensí quello di provocare quest'ultima. Dal 24 marzo 1944 al 5 giugno dello stesso anno, data dell'ingresso delle truppe alleate in Roma, trascorrono 73 giorni e quel glorioso atto di guerra non accorciò di un solo giorno la fine della guerra per i romani.
Ma la strategia comunista di uccidere la colomba per scatenare il falco ha avuto il sopravvento. C'è da augurarsi che i 45mila euro riconosciuti dalla Cassazione a Bentivegna siano spesi per fiori sulle tombe di tutte le vittime di quell'inutile attentato.
Enzo Todaro - Canton Ticino
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Vorrei anch’io dire qualche cosa sulla strage di via Rasella. Processo Kappler. Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948. Momento drammatico di alta tensione in aula quando, nel corso dell'udienza, esce dal pubblico una voce straziante di donna che investe violentemente Rosario Bentivegna presente in aula in qualità di testimone: «Assassino, codardo! Ho la mia creatura alle Fosse Ardeatine, perché non ti sei presentato, vigliacco?». È un’invettiva che esce dal cuore lacerato di una madre. Scottante, crudele. Essa pone il problema morale della guerriglia e solleva un dubbio atroce: si poteva evitare la rappresaglia dei tedeschi? In altre parole, se i responsabili materiali dell'attentato si fossero presentati, il Comando tedesco avrebbe ugualmente deciso la rappresaglia? In una intervista Bentivegna dichiara: «Non credo che se mi fossi costituito la rappresaglia non sarebbe avvenuta...» (Oggi n. 52 del 24 dicembre 1946). Ripa di Meana scrive sull'organo clandestino della Resistenza L'ltalia nuova del 4 aprile 1944: «Per Roma intera la deplorazione dell'attentato fu unanime; perché assolutamente irrilevante ai fini della guerra contro i tedeschi nella quale il nostro Paese è impegnato; perché insensato, dato che il maggior danno ne sarebbe certamente derivato alla popolazione italiana; per quell'ampio senso di umanità che distingue noi latini e che non si estingue neppure durante gli orrori di una guerra e per il quale ogni inutile strage non può trovare la sua giustificazione nell'odio ma solo nella necessità». Nel giugno del 1980 Marco Pannella si chiedeva pubblicamente se i morti di via Rasella fossero da attribuire alla necessità della guerra partigiana o non piuttosto al tornaconto del Partito comunista. Pannella in quell'occasione si chiedeva testualmente: «Quale fu la verità di via Rasella? È vero che gran parte dei quadri antifascisti e anche comunisti non direttamente organizzati dal Pci, che lo stesso comando ufficiale della Resistenza romana erano contrari all'ipotesi dell'azione terroristica e furono contrari ai comportamenti successivi dei dirigenti del Pci? Come mai l'argomento è rimasto tabù anche per gli storici democratici?». Le centinaia di morti, altoatesini compresi, dovrebbero pesare sulla coscienza soprattutto del principale protagonista dell’episodio, invece Rosario Bentivegna - per questa azione addirittura decorato di medaglia d'argento - oggi docente di medicina del lavoro non esita a dichiarare che rifarebbe tutto.
Antonio Fusi e-mail
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Sono veramente costernato e dispiaciuto per la condanna in Cassazione per le opinioni espresse sull’attentato di via Rasella: la giustizia non è una voce pubblica alla quale si ricorre per sottolineare ragioni che non si hanno. La Storia non viene mai scritta dai tribunali e purtroppo Norimberga ce lo insegna. La verità sul vile attentato di via Rasella e sulla valenza dei suoi «eroici» autori la si conosce benissimo; prima o poi avrà la sua giusta collocazione fra le pagine della storia vera scritta da chi l'ha vissuta e sarà finalmente cancellata la versione di comodo al partito, come Lenin insegnava. Una cosa accettabile nella sentenza è che è vero che accomunare partigiani e nazisti non è possibile, dato che questi ultimi non si scannavano fra di loro come è avvenuto a Roma con Bandiera Rossa comandata da Montezemolo in seguito all'imboscata di via Rasella o di Malga Porzus e di altri edificanti episodi.
Tino Gianbattista Colombo - Genova
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La Cassazione ha condannato Il Giornale per diffamazione nei confronti di Rosario Bentivegna e dei Gap per i fatti di via Rasella, 24 Marzo del 1944. Ora, ammettendo che trattavasi di un atto di guerra, mi chiedo con quale capacità militare fu organizzata l'azione gappista; se fu calcolata la reazione tedesca e tutti i rischi che la suddetta azione avrebbe procurato alla popolazione civile. Qualsiasi stratega militare non si imbarcherebbe mai in una azione che preveda perdite, a fronte dei nemici uccisi, con una percentuale di 10 a 1. Per il resto credo che onorabilità politica e personale di uno che fu, in concorso con altri, la causa scatenante di questo eccidio siano andate a farsi benedire nel momento stesso in cui l'attentato fu messo in atto. Mi chiedo piuttosto, alla luce delle responsabilità oggettive riscontrate dallo stesso tribunale, responsabilità quali appunto «la scelta dell'attentato, l'organizzazione ed i suoi scopi» non fosse da imputare al signor Bentivegna ed ai Gap l'accusa di «concorso in strage». Comunque sia il mio cuore e il mio ricordo vanno ai 335 caduti trucidati nelle Fosse Ardeatine; al resto, a chi ne fu l'esecutore materiale, a chi ne fu la causa, a chi ne rivendica oggi la liceità o onori che non gli spettano lascio che tempo e spirito dei caduti ne cancellino la memoria.
Fabio Fiorini - Marmirolo (Mn)
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A completamento della ricostruzione di Maurizio Belpietro (Giornale, 9 agosto) dell’attentato compiuto il 23 marzo 1944 in via Rasella da un Gruppo di azione partigiana (Gap), è interessante ricordare un antefatto che, ovviamente, non emerge nella vulgata resistenziale, come tutti quelli relativi alla guerra civile fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Infatti, inizialmente, l’attentato era stato progettato per colpire un corteo previsto nell’anniversario della fondazione dei fasci italiani di combattimento, avvenuta il 23 marzo 1919, ma annullato in extremis. I gappisti cambiarono quindi obiettivo, causando l’inevitabile rappresaglia. L’unica colpa della colonna di territoriali altoatesini è stata di passare nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Nikos Tullio di Giorgio
Sedriano (Mi)
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Mi chiamo Alberto Loy, sono nato a Milano l’11 aprile 1938, ma al tempo dei fatti di via Rasella abitavo, con i miei genitori, a Roma, in via Corfinio, nel quartiere di San Giovanni. Avevo quasi sei anni, ma sapevo leggere e scrivere, dato che avevo iniziato la scuola elementare a 5 anni. In piazzale Appio, proprio alla confluenza tra via Magna Grecia e via Sannio, c’era un bar, il bar Angeloni, con una porta interna in comune con il cinema Massimo. All’interno del bar Angeloni c’era una saletta biliardo dove andava a giocare mio cugino sedicenne, ora defunto, e io ero con lui quella mattina del marzo 1944. Vidi e lessi, su un foglio bianco scritto a mano, appeso alla parete (ricordo perfettamente anche quale parete della sala biliardo), che si chiedeva a un certo Rosario Bentivegna di costituirsi per evitare che morissero centinaia di persone. Non capivo il senso di quel cartello anonimo e allora chiesi a mio cugino cosa volesse dire e lui mi disse che quel Rosario Bentivegna aveva ammazzato soldati tedeschi e i tedeschi, per vendicarsi, avrebbero ucciso un numero dieci volte maggiore di cittadini. Ne rimasi sconvolto e pensai che quel Bentivegna sarebbe stato un vigliacco a non costituirsi.
Anche se, come dice la Cassazione, il Minculpop avesse ordinato di non parlare di via Rasella, la gente sapeva e, soprattutto, sapeva il Bentivegna cosa sarebbe costato il suo atto se non si fosse costituito.
Alberto Loy e-mail
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Rosario Bentivegna sapeva a cosa sarebbero andate incontro 355 persone innocenti quando ha fatto esplodere la bomba in via Rasella uccidendo quasi 33 tedeschi (erano ausiliari altoatesini). Come mai non ha rivendicato subito l’azione «di guerra»? Di certo era un «coraggioso», come i suoi compagni Carla Capponi e Pasquale Balsamo.
Kiko Castellano e-mail
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A proposito delle sue sacrosante osservazioni sulla sentenza della Cassazione circa un articolo del Giornale critico verso i Gap che organizzarono il cinico (per le conseguenze previste dai suoi stessi ideatori) attentato di via Rasella, vi è solo da constatare il danno enorme che le vecchie classi politiche democristiane e liberali portarono all'Italia quando acconsentirono che nella Carta Costituzionale venisse scritta la grande bugia che la nuova Italia nasceva dalla Resistenza quando, con tutta onestà, l'italia postfascista nasce dalla guerra di liberazione angloamericana supportata, questo sì, dalla Resistenza italiana.
Ciò ha permesso che il copyright della Liberazione venisse monopolizzato dai comunisti i quali fecero di tutto anche per mettere in ombra chi la Resistenza la fece ma da liberale e/o da cristiano.

Questa grande bugia passata per verità storica sta alla base della «sacralità» del mito della Resistenza su cui si fonda ipocritamente la Repubblica Italiana e quindi quando qualcuno ne mette in dubbio la «sacralità» riceve condanne anche dalla Cassazione che di altre cose, in un Paese laico, si dovrebbe occupare.
Aldo Reggiani e-mail

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