Rava, novant’anni tra pugni, pesca e pallone

Tony Damascelli

Se non ci fosse stato quel pugno la Cinciallegra non avrebbe sposato il Micio. Che storia è mai questa? Il fatto, il cazzotto dico, avvenne il dodici di ottobre del millenovecentoquarantasette, l’Inter avrebbe battuto la Juventus 4 a 2 ma in una delle baruffe sul campo Piero Rava, non ancora Micio, sferrò un destro verso Benito Lorenzi che aveva aggredito Boniperti, Veleno si scansò e il pugno colpì Quaresima: tre giornate di squalifica al pugile. Il quale si rintanò nel suo domicilio, negandosi a tutti: «Scommisi con le mie amiche: volete vedere che quel Rava lì mi risponde al telefono? Feci il numero, sentii la sua voce, vinsi la scommessa, ci conoscemmo, ci fidanzammo e sette anni dopo ci sposammo». Incomincia così la storia di Gianna e di suo marito Pietro-Piero-Micio Rava, campione d’Italia, olimpico e del mondo, ultimo e unico superstite di quell’epoca dorata, Berlino, Parigi, i giochi dell’Olimpiade e la coppa Rimet. Rava compie novant’anni, una mole Antonelliana di ricordi, silenziosi per la malattia che gli ha preso il corpo e la memoria, ma che esistono e resistono comunque nella voce di Gianna, nella maglietta di quella partita giocata con l’Europa Centrale contro l’Europa Occidentale, ad Amsterdam, nel giugno del Trentasette, quell’altra partita con il Resto d’Europa a Londra contro l’Inghilterra nell’ottobre del Trentotto: «Nient’altro, perché Micio non amava conservare i cimeli. Qualche fotografia, qualche ritaglio di giornale, sì».
Torino, corso Rosselli, di là il cantiere dei giochi dell’Olimpiade, di qua una fetta di sport antico e ancora profumato. «Rava è degnissimo allievo di Rosetta. Nonché ragioniere, è geometra. Un crapottone così grosso, le gote rosee del celta, gli occhi grandi e un po’ bovini. Colpisce benissimo la palla ed entra come deve un terzino avanzato, con energia molto vicina alla truculenza. Stacca assai bene, non ha paura di nulla e di nessuno. Forse è un po’ troppo massiccio per essere anche agile: certo è che la sua compostezza stilistica è superiore a quella di Caligaris e Allemandi, suoi predecessori in azzurro.
«Rava è giusto l’ultimo dei grandissimi terzini piemontesi». Parole di Gianni Brera, dovrebbero servire in assenza di filmati e dvd. Rava questo davvero era, tosto di maniere al punto che l’almanacco lo segnala come «il primo calciatore azzurro ad essere espulso», Olimpiadi di Berlino, tre agosto del Trentasei, Post Stadion, all’ottavo minuto del secondo tempo l’arbitro tedesco Weingertner lo manda nello spogliatoio per fallo su Gajda, l’Italia vince lo stesso con un gol segnato dall’occhialuto Annibale Frossi. Fotogrammi antichissimi e moderni, la Gianna dice: «Mi chiamava Cinciallagra per il mio carattere brioso, io vengo dalla Sicilia, mio padre Michele era un ferroviere, chiese il trasferimento al Nord. Piero ha sempre avuto un carattere mite, gli piaceva andare a pesca, partiva alle quattro del mattino, sua madre Silvia era una brava cuoca. Era un altro mondo, senza le tensioni e le esasperazioni di oggi. Piero lo chiamai per scherzo Micio, Micetto, e così lo chiamo ancora oggi. Non è cambiato nulla, per noi, è cambiato il mondo. Quando ci conoscemmo lavoravo come impiegata e chiesi l’anticipo di dieci anni sulla liquidazione, avevo visto un brillante che mi piaceva da matti, lo comprai, ricordo la cifra: 325mila lire. Piero mi regalò un portagioielli in argento, quindici giorni dopo persi quella pietra, mi prese un esaurimento nervoso che durò a lungo». Piero non va allo stadio da qualche anno, «così come non frequenta più il circolo degli anziani Juventus, perché quel circolo non c’è più e Piero, con gli altri grandi bianconeri, ci andava per giocare a boccette. Se ne lamentò, avevano tolto la cuccia dei ricordi. Un giorno l’avvocato Agnelli lo incontrò per strada, gli domandò: “Ma quanti anni ha?”. Ottantatré, rispose Micio, l’Avvocato si complimentò, perché Piero ha conservato il fisico e gli occhi sono vivi. Gli piacevano Sivori e Parola, che è stato il nostro testimone di nozze e poi Boniperti che era sopra tutti. Dico anche Del Piero che è un bravo ragazzo. Domani vorremmo andare in collina, per vedere Torino là sotto con i suoi clamori, i suoi lavori. Ma c’è il blocco del traffico.

E allora staremo in casa, con Carla, nostra figlia, e Davide che è il nipotino di dodici anni, lui ama la pallacanestro, non gli piace il football anche se tifa Juventus».
Micio è contento. Forse avrebbe voglia di andare a pesca. O di tirare un cazzotto.

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