Gaza - Guerra o pace? A otto giorni dal voto i leader israeliani hanno deciso di rispondere a muso duro alle nuove salve di missili e mortaio da Gaza che ieri hanno ferito due militari e un civile. In serata Hamas ha denunciato un raid dell’aviazione con la Stella di Davide nel centro della Striscia conclusosi peraltro senza vittime. La tensione è dunque altissima ma la partita a scacchi medorientale continua. Lo sa bene Hamas, che sfruttando le divisioni tra il premier uscente Ehud Olmert, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello degli Esteri Tzipi Livni lascia agli altri gruppi armati il lancio dei missili e negozia con l’Egitto una tregua di un anno che prevede il ritorno di Fatah nella Striscia.
Stando alla tv satellitare Al Arabya l’organizzazione fondamentalista è pronta a lasciare il controllo del confine meridionale di Gaza agli uomini del presidente palestinese Mahmoud Abbas e consentire la riapertura dei valichi di Rafah con l’Egitto già giovedì. Il diavolo si nasconde come sempre nei dettagli. A farlo capire ci pensa Amos Yadlin, capo dell’intelligence militare israeliana, intervenendo al consiglio dei ministri. «Hamas è stato ben dissuaso, ma non fa nulla per fermare le altre fazioni dal colpirci», spiega il generale avvertendo che Hamas userà il paravento della riconciliazione palestinese «per prendere il controllo dell’Olp e mettere fine al concetto di due Stati». Consapevole di poter contare su consensi ben più vasti del delegittimato presidente Abbas, il gruppo radicale prepara la trappola finale. Da una parte accoglie una minuscola forza di Fatah in una Gaza dove regna egemone, dall’altra pretende di entrare nell’Olp per assumerne il controllo. La strategia fondamentalista verso Israele è più a breve termine e punta a sfruttare al meglio sia l’era Obama, sia le emozioni suscitate dalle immagini delle rovine e dei morti di Gaza. Reagendo «in maniera severa e sproporzionata» - come aveva annunciato il premier Ehud Olmert nel consiglio dei ministri di ieri mattina, prima del raid serale - Israele potrebbe venir accusato di far saltare in un colpo solo l’offerta di tregua, la riapertura del valico di Rafah e il ritorno di Mahmoud Abbas a Gaza. Questo intricato scenario e l’imminente elezione contribuiscono ad infiammare le divisioni interne. Ehud Barak, deciso a strappare voti moderati a Kadima, fa capire di accontentarsi della lezione impartita ad Hamas per puntare ora su un periodo di tranquillità. E risponde a muso duro a Tzipi Livni che invoca una nuova durissima rappresaglia e l’accusa di «voler raggiungere un accordo con Hamas».
«In tempo d’elezioni sentiamo sempre un sacco di chiacchiere da parte di persone che non hanno mai tenuto un’arma in mano e non capiscono le condizioni in cui dobbiamo agire», replica l’ex ufficiale più decorato d’Israele. Tzipi Livni non può proporre nulla di diverso. Gli ultimi sondaggi attribuiscono al suo Kadima 25 seggi contro i 28 del Likud di Benjamin Nethanyau.
Per coronare il sogno di aspirante Golda Meir il ministro degli Esteri deve dunque rubar consensi ad una destra pronta - grazie all’alleanza con ultra-ortodossi e gruppi estremisti - a guidare il parlamento con una maggioranza di almeno 65 voti su 120.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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