Il razzismo degli antirazzisti

Renato Brunetta è un gigante: è una delle persone più svelte, intelligenti, lavoratrici, sincere e soprattutto buone che io abbia avuto l'onore di conoscere in vita mia, e se poi da ministro comincerà a tirarsela questo non lo so, so tuttavia che solo un decerebrato mentale (tecnicamente un deficiente) potrebbe pensare che Brunetta meriti di essere definito pubblicamente come «mini-ministro» in omaggio al suo nanismo congenito, caratteristica che molti probabilmente ignoreranno perché in televisione non si nota per niente. Furio Colombo, quindi, dev'essersi sbagliato, forse i giornalisti hanno capito male, non può essere vero che abbia detto davvero «mini-ministro» a margine di una conferenza stampa di mini-cervelli cui presenziavano anche Pancho Pardi, Giuseppe Giulietti, Paolo Flores d'Arcais e altri avanzi di cancelleria. Correggete i dispacci d'agenzia: non vogliamo dover concludere che Furio Colombo sia un decerebrato mentale, un bollito definitivo: non vogliamo credere che davvero abbia detto che il «mini-ministro» Brunetta stia offrendo «uno spettacolo comico». Certe cose, di Colombo, vogliamo solo pensarle, anche perché altrimenti avremmo dovuto reagire anche poco tempo fa, quando Colombo scrisse che «Il Paese in cui è stata assassinata la giornalista Olga Politkovskaja è il modello di comportamento del governo Berlusconi». E invece no, a destra come a sinistra si fece finta di niente anche quella volta, si proseguì a sopportare Furio Colombo come una vecchia zia un pizzico rincoglionita che ogni volta pretende di sbraitare a piacimento sorseggiando un tè da porcellane di Limoges. Ma stavolta, come si dice nelle buone famiglie, è troppo. È troppo se non gli dicono niente, se nessuno a sinistra gli dicesse niente né prendesse le distanze. Anche perché Colombo è lo straclassico ammennicolo di una sinistra che poi magari usa scrivere «verticalmente svantaggiati» dei nani, la stessa sinistra che ci sta frantumando i Colombo parlando continuamente di razzismo e fascismo e nazismo a margine della vittoria romana di Gianni Alemanno e delle annunciate politiche del governo: anche quando i raid poi si rivelassero terribilmente di sinistra (con tatuaggio del Che e presenza di neri e romeni) come nel caso del quartiere Pigneto. Accuse di «razzismo» così, a cuor leggero, come se le parole non volessero dire più nulla, come se il linguaggio teppista dei neo-qualunquisti, i Grillo come i Travaglio, non avesse fatto una silenziosa scuola. Sono loro che dipingono Giuliano Ferrara, per dire, in quanto «donna cannone» e «donna barbuta» e «Platinette barbuto», accucciato «sotto la scrivania di Bush» come già dissero di Ritanna Armeni. Sono loro quelli che Berlusconi sarebbe uno «psiconano» o un «nano bavoso» anche se poi è alto esattamente come Romano Prodi, cordialmente definito «Alzheimer»: è così che si sta riscrivendo il galateo della politica per adeguarlo a quello dell’antipolitica, e potremmo fare cento altri esempi. Sapete come si difende, Marco Travaglio, dalle querele che lo riguardano? Nelle sue memorie difensive parla di «diritto di satira». Lui è un satiro, un comico, un buffone: ed ecco che nella pastrocchia indistinguibile che mischia i Grillo ai Travaglio alle Sabine Guzzanti (eccetera) il passaggio alla contumelia vera, dalla presunta satira alla presunta politica, la politica o il giornalismo vero in cui dovrebbero abitare i Furio Colombo, ecco, diventa un attimo: e allora a un ministro della Repubblica, affetto da nanismo, gli dici che è un nano.

Che aspetta Travaglio a scrivere che in fondo è «un fatto» anche questo? Niente fa più schifo di chi ti sfotte per i tuoi difetti fisici: è l'ultimo rifugio delle canaglie, lo scherno degli squadristi, dei brutti dentro e fuori, dei Furio Colombo.
Filippo Facci

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