RomaAnche sul «caso Tarantini» scoppia la guerra tra le procure. Abbiamo visto tante volte Brescia contro Milano, Perugia contro Roma, Salerno contro Catanzaro (vedi De Magistris). Stavolta, è la procura di Lecce che indaga sulloperato di quella di Bari. Su sollecitazione dei pm napoletani, ben più solerti nellarrestare limprenditore pugliese e nel far esplodere lo scandalo di una presunta estorsione ai danni del premier Silvio Berlusconi legata a festini a luci rosse.
Sulla procura barese, guidata da Antonio Laudati, pesa il sospetto di aver tirato troppo per le lunghe le indagini su Patrizia DAddario e le altre escort portate da Giampaolo Tarantini a Palazzo Grazioli nel 2008. Di aver preso tempo, anche per evitare la diffusione di intercettazioni telefoniche «scottanti». Insomma, di avere in qualche modo favorito limprenditore accusato di sfruttamento della prostituzione e, soprattutto, il Cavaliere. La colpa dei pm baresi sarebbe quella di non aver inchiodato tutte due, potendo, con la determinazione e la prontezza di altri colleghi.
Una differenza di velocità «imbarazzante», sottolineava Il Fatto quotidiano ad aprile, quella tra Bari e Milano: «I primi fermi al palo da un anno e mezzo su fatti del 2008, mentre Ilda Boccassini e compagni giunti al processo per fatti del 2010».
Erano i giorni in cui il titolare delle indagini sulle escort, Giuseppe Scelsi, lasciava fragorosamente il caso, trasferito alla Procura generale di Bari, facendo emergere forti attriti con il suo capo, Laudati.
A luglio, poi, alla prima commissione del Csm arrivava lesposto di Scelsi con tutte le accuse ai vertici della procura per ostacoli che avrebbe dovuto subire. Nella lunga lettera al Csm del 9 luglio lex sostituto procuratore di Bari Scelsi denunciava di non aver potuto concludere linchiesta aperta nel 2008 e segnalava una serie di situazioni secondo lui illegittime, dai ritardi da parte della Guardia di finanza a presunte intromissioni del capo della Procura Laudati.
Palazzo de Marescialli dovrà vederci chiaro, ma ora cè linchiesta della procura di Lecce (competente a indagare appunto sui colleghi di Bari), con lobiettivo di stabilire se i pm abbiano compiuto delle irregolarità.
Gli inquirenti di Napoli Vincenzo Piscitelli, Francesco Curcio ed Henry John Woodcock hanno infatti trasmesso i testi di intercettazioni telefoniche in cui Tarantini parlava di piani comuni tra i suoi difensori e alcuni magistrati, per fare in modo che non fossero rese pubbliche le telefonate con Berlusconi. Millantava o davvero aveva sponde dentro la Procura?
Ieri è arrivato alla questura di Roma il sostituto procuratore leccese Antonio De Donno, incaricato dellindagine, che ha partecipato insieme ai colleghi napoletani allinterrogatorio degli avvocati di Tarantini, Nicola Quaranta e Guido Perroni.
Ambedue vengono citati dallimprenditore, insieme al procuratore capo di Bari, in una telefonata intercettata con laffarista Valter Lavitola (inseguito allestero da un mandato darresto) che chiede: «Che vantaggio ha il pm a riaprire le indagini?». E Tarantini risponde: «No, il vantaggio ce labbiamo noi. Lha fatto apposta Laudati questo, perché si sono messi daccordo: nel momento in cui riaprono lindagine e non mandano lavviso di conclusione, non diventano pubbliche le intercettazioni». «Ah, dici tu», commenta Lavitola. E laltro: «Sì e pure Nicola (Quaranta, ndr.) lha detto, pure Perroni lha detto oggi».
«Lassoluta falsità» delle dichiarazioni di Tarantini a Lavitola, è stata ieri denunciata da Quaranta, dopo laudizione a Roma. Il principale accusato, il procuratore Laudati, per ora tace. Le schegge dellultima bomba lo colpiscono negli ultimi giorni delle sue ferie avvelenate. Al lavoro rientrerà lunedì.
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