La recessione fa paura: Borse in caduta libera Wall Street perde il 4%

Prima uno spiffero, poi un venticello maligno, e ora un vento di tempesta. Con il passare delle settimane, l’incubo di una ricaduta in recessione si è dilatato fino a trasformarsi in uno dei mostri da videogame della metafora tremontiana. Ma di virtuale, qui non c’è nulla: i danni provocati sono tanto tangibili e dolorosi, quanto facili da quantificare utilizzando la contabilità cimiteriale degli indici di Borsa. Il panic selling di ieri, quel fuggi-fuggi disordinato tanto simile a una resa, si è portato via in Europa altri 270 miliardi di capitalizzazione sotto i colpi di ribassi tra il 4 e il 5%. La sola Piazza Affari (-4%), dopo aver sacrificato ieri ben 15 miliardi, si avvia a concludere la peggiore estate degli ultimi anni con 100 miliardi polverizzati in meno di tre mesi. Un disastro.
Un disastro sempre più collettivo. Nessun mercato è infatti riuscito a salvarsi dall’ondata di vendite. Men che meno Wall Street (-4% a un’ora dalla chiusura), in caduta libera dopo il quadro congiunturale fosco tracciato mercoledì sera dalla Fed. L’economia Usa è in forte decelerazione, ha detto Ben Bernanke, e dietro l’angolo c’è un ulteriore peggioramento che avrebbe ricadute drammatiche sull’occupazione. Il finanziere George Soros non ha dubbi: «Gli Stati Uniti sono già in recessione». Tim Geithner, ministro del Tesoro americano, è meno pessimista, ma ammette che la crescita del 2% registrata dall’economia «è troppo lenta».
Di sicuro, le ripetute cadute delle Borse e più in generale le tensioni finanziarie legate anche (ma non solo) alla crisi del debito sovrano si stanno trasmettendo all’economia reale. Quello che era un rischio, è ormai una realtà che si tocca con mano nello scivolamento dell’industria di Eurolandia in territorio recessivo. L’indice manifatturiero è finito in settembre sotto la soglia dei 50 punti che delimita espansione e contrazione dell’attività. L’arretramento di agosto non era dunque un fatto episodico, ma la spia di un malessere ora conclamato, capace di colpire le imprese tedesche e di avere ripercussioni perfino sulla Cina, dove qualche scricchiolio comincia a sentirsi nel sistema industriale a causa delle minori esportazioni.
Il problema è che di misure di stimolo alla crescita non c’è traccia. I governi europei si sono dati come priorità il risanamento dei conti, anche se ieri hanno dovuto incassare da sei Paesi del G20 (tra cui l’Inghilterra) l’invito «ad agire rapidamente» per evitare che la crisi del debito «finisca per contagiare l’economia mondiale». La Grecia è impegnata in una sorta di missione impossibile per evitare il default, come dimostra l’ultima manovra con cui ha tagliato le pensioni e messo in cassa integrazione 30mila statali. Anche l’Italia ha pochi spazi per agire dopo aver varato la manovra da 54 miliardi. Una ricetta anti-crisi apprezzata però dal commissario Ue per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn: «L’Italia ha adottato misure importanti» e «non credo che ci sarà alcun bisogno di un piano per soccorrerla». Parole che ieri hanno contribuito, oltre all’intervento della Bce, a riportare lo spread Btp-bund sotto i 400 punti dopo un picco fino a 214, a un soffio dal record di 416.


Se aiuti sul fronte fiscale da parte dei governi appaiono improbabili, anche dalle banche centrali è difficile aspettarsi un sostegno dopo che la Fed ha deciso che si limiterà a vendere titoli di stato Usa a breve scadenza, per finanziare acquisti su bond a lunga maturazione. Si punta ad alleviare i tassi su mutui e prestiti alle imprese, ma che l’obiettivo possa essere centrato è tutto da verificare.

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