Referendum flop Maroni: pronti a cambiare regole

RomaIl record negativo, con il dato più basso d’affluenza registrato nella storia della Repubblica (in media poco più del 23% degli italiani chiamati ad esprimersi), «merita una riflessione». E dinanzi al flop dei tre quesiti referendari sulla legge elettorale, con una larga ma ininfluente vittoria relativa dei sì, occorre «ripensare» lo strumento, affinché «non muoia» e «non diventi inutile». Tanto che «mi riservo di avanzare» presto una proposta per «riformare» pure l’articolo 75 della Costituzione. È un cambio di passo, quello richiesto da Roberto Maroni, alla luce della risposta negativa fornita dai cittadini. Condiviso in maniera bipartisan, seppure con proposte un po’ differenti. Così, a caldo, si discute già di innalzamento del numero di firme richieste (500.000) e della riduzione del quorum (50% più uno). Analisi del voto a parte, il ministro dell’Interno bacchetta anche sul fronte economico i promotori, da «responsabilizzare», dato che «il costo» dell’operazione fallimentare «è a carico del contribuente».
Ma a spoglio avvenuto, il titolare del Viminale si spinge oltre, annunciando querele come risposta agli «insulti» ricevuti negli ultimi giorni. «Intendo dare mandato ai legali di agire contro chi - afferma l’esponente della Lega, riferendosi, senza nominarlo, a Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato promotore - ha indirizzato a me ed al ministero accuse di intimidazioni nei confronti dei presidenti di seggio». Si tratta, aggiunge, di «ingiurie, parole inaccettabili», perché «tutto si è svolto regolarmente, senza incidenti, nel rispetto della legge ed in modo trasparente». Non si fa attendere la replica di Guzzetta. «Sono serenissimo - assicura il giurista - e credo che in nessun Paese al mondo un ministro dell’Interno durante un comizio (a Pontida, ndr) dica ai presidenti di seggio di non fare i furbi». Di conseguenza, «l’ipotesi di iniziative legali mi lascia del tutto indifferente» e «valuterà il giudice».
In attesa di eventuali risvolti giudiziari, nessuno appare sorpreso per il flop dei votanti, a cominciare da Gianfranco Fini. «I quesiti erano troppo tecnici», commenta il presidente della Camera - a suo tempo tra i firmatari del referendum - per cui l’esito «era prevedibile». Come dire, «cronaca di una morte annunciata», pur se «mi dispiace dirlo». In ogni caso, «rinunciare a partecipare» testimonia «una certa stanchezza nei confronti del dibattito politico, del funzionamento della democrazia». Una «spia», un «campanello d’allarme», che «ci deve fare riflettere tutti» e spingere verso la ricerca di «convergenze» sulle riforme costituzionali.
Intanto, il Carroccio, com’era prevedibile, esulta («La gente si fida completamente di noi», rimarca Umberto Bossi). Ma non lo fa in solitaria. «Il referendum è fallito miseramente», attacca il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, che gioisce perché «il bipartitismo è stato bocciato».

Non è così per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: «Lui cerca di tirare l’acqua al suo mulino», ma in realtà, fa notare il coordinatore del Pdl, «abbiamo già realizzato una grande semplificazione del quadro politico». Ampio, infine, il fronte di chi spera che adesso la palla passi al Parlamento. In mezzo c’è anche Massimo D’Alema, secondo cui «l’attuale» legge elettorale «è pessima».

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