Referendum, il patto tra Bossi e Berlusconi

Intesa nel caso non si riesca a evitare il quesito. Isolato Casini: «Le bozze? Uno specchietto per allodole»

da Roma

Lunedì scorso a Arcore non si è parlato solo di come disinnescare il referendum elettorale, ma pure di come comportarsi nel caso in cui, per una ragione o per l’altra, si arrivi alla consultazione popolare senza riuscire a trovare un’intesa parlamentare per modificare l’attuale sistema elettorale. Berlusconi, infatti, rimane convinto che la via referendaria - pur creando più d’un problema alla Lega - possa diventare la strada maestra per chiudere l’eterna querelle con Casini da una parte e Prodi dall’altra. Se dovessero infatti prevalere i «sì» (si dovrebbe votare nel 2008), la legge elettorale così modificata spingerebbe i due schieramenti verso la costituzione dei rispettivi partiti unitari, obbligando l’Udc a una scelta più o meno definitiva. E metterebbe in crisi Prodi, che finirebbe nel mirino dei cespugli dell’Unione, decisi a far cadere il governo piuttosto che arrivare al referendum.
Argomentazioni, queste, verso le quali Bossi non è certo insensibile. La Lega (che il 3 giugno tornerà sul prato di Pontida) sul referendum ha più volte ribadito un netto «no». Perché, hanno ripetuto come un mantra i vertici del Carroccio, il referendum «ci ucciderebbe». In verità, dovessero davvero prevalere i «sì», per la Lega il problema sarebbe più che la sua fine una decisa riduzione della sua autonomia. Sulla quale Berlusconi ha già dato ampie garanzie. L’intesa tra Bossi e il Cavaliere, di cui i due hanno parlato apertamente a Arcore, prevede infatti che l’ex premier si faccia «garante del Carroccio», assicurandogli un «congruo numero di seggi» nel caso si vada a votare con la legge elettorale come modificata dal referendum. E senza che la Lega si sporchi le mani né con la Federazione né con un eventuale Partito delle libertà. In entrambi i casi, infatti, il Carroccio avrebbe con i soggetti in questione «solo un rapporto federativo» sulla traccia di quello che c’è in Germania tra Cdu e Csu. Insomma, con il pieno rispetto dell’autonomia di manovra di via Bellerio, un punto su cui anche Fini ha dato rassicurazioni. Prospettiva, questa, che come accade da qualche tempo vede Maroni e Calderoli su posizioni diverse. L’ex ministro delle Riforme, infatti, proprio grazie alla partita sulla legge elettorale ha nelle ultime settimane riconquistato gli onori della cronaca, riproponendosi come ambasciatore della Lega presso il centrosinistra con tanto di ciliegina sulla torta quando lunedì è salito al Quirinale per il faccia a faccia con Napolitano. Una posizione, è ovvio, che non può che fargli piacere. E che Maroni, anche lui negli ultimi mesi attivissimo, non vede troppo di buon occhio.
Forza Italia e An, intanto, accusano la maggioranza di essere divisa. Secondo il coordinatore azzurro Bondi, infatti, «l’Unione non è in grado di presentare una proposta omogenea». Posizione condivisa dal capogruppo al Senato Schifani, secondo il quale il ministro Amato «sconfessa palesemente» la «pur vaga» bozza Chiti. Identico ragionamento lo fa il portavoce di An. «Vogliamo sapere - dice Ronchi - se la bozza Chiti rappresenta tutta o una parte dell’Unione. La proposta Amato non ci interessa». E ancora: se le «divisioni della maggioranza» bloccheranno la nuova legge elettorale, il referendum «diventerà la strada maestra».


Capitolo a parte l’Udc, che attacca sia la bozza Calderoli che quella Chiti. «Sono il nulla, solo uno specchietto per le allodole», dice Casini. «Non ci sono proposte scritte - gli fa eco il segretario Cesa - per cui non si può ragionare su cose che non esistono».

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