Luca Telese
da Roma
Certo, la premessa del leader della Margherita è che si tratta di una scelta «presa come politico e come parlamentare, non come presidente della Margherita». Ma chi ci crede? E una foglia di fico che non attenua certo, anzi accentua la forza della scelta. Certo, si potrebbe aggiungere che il pronunciamento di Francesco Rutelli era largamente annunciato e previsto. Ma se la coreografia e i riti in politica hanno un senso - e ce lhanno - la conferenza stampa dellex sindaco di Roma sulla bioetica, ieri è stata molto di più di una normale scelta di campo su una pattuglia di quesiti, molto più di un pronunciamento referendario, è uno strappo che ha preso tutte le stimmate di una vera e propria operazione politica, di una radicale operazione di riconversione identitaria.
Certo, che il leader della Margherita sarebbe sceso in campo sullastensione, completando il suo processo di trasmutazione dallanticlericalismo al cattolicesimo di osservanza episcopale era ampiamente noto. Ma che avrebbe su questo gettato le basi di una nuovo baricentro politico sicuramente no. Ieri Rutelli ha annunciato la sua astensione sui quattro quesiti referendari, e implicitamente compiuto la sua smarcatura definitiva dalla Federazione dellUlivo, già picconata con il voto contro la lista unitaria, e ieri definitivamente sepolta. Già il colpo docchio, al Residence Ripetta, testimoniava questo afflato, la pianificazione dei dettagli. Rutelli sedeva solo al tavolone, come aveva fatto dopo lo strappo con Prodi, leader unico e visibile. Ma allo stesso tempo aveva convocato in platea - con un sollecito invito - alcuni dei deputati cattolici più caratterizzati del suo partito. Ecco Beppe Fioroni, cattolico post-democristiano, il medico che in commissione Sanità è stato fra i padri della legge. Ecco Giuseppe Gambale, deputato focolarino, recentemente passato dalle fila prodiane a quelle rutelliane. Ecco Donato Mosella che fu lufficiale di collegamento con il Vaticano ai tempi del Giubileo, ed ecco Dorina Bianchi, cattolica osservante, eletta nel centrodestra e recentemente acquisita alla Margherita. Insomma, assenti i colonnelli storici - Ermete Realacci, Paolo Gentiloni e Roberto Giachetti votano tutti sì - ecco un nuovo piccolo Pantheon di «testimoni» per celebrare il rito battesimale del leader. La disamina di Rutelli è lenta e minuziosa: prima difende «la perfetta legittimità dell'astensione, una risposta giusta e lo strumento giusto per questi referendum». Poi attacca «l'estrema complessità e la varietà dei temi, che porta i promotori ad una semplificazione inadeguata». Quindi chiude ogni porta anche allidea di un voto contrario, liquidandolo così: «Chi vota no finisce involontariamente per aiutare la riuscita del sì. È una testimonianza che io rispetto, ma in una contesa politica devi trovare lo strumento più efficace per raggiungere i risultati». Di più: «L'astensione consente di migliorare questa legge che non è perfetta, ma che è indispensabile verificare». Al contrario «il no imbalsama la legge attuale e delegittima la possibilità di modificarla. Il sì produce una legislazione inaccettabile; il non raggiungimento del quorum lascia la strada aperta alla sua modifica».
Ma non solo, ed è qui limprevisto che lascia pensare. Rutelli a questo punto avrebbe potuto limitarsi alle questioni di merito, accontentarsi di disquisire di embrioni e cellule staminali. Invece ha voluto marcare la differenza dalla propria coalizione rivendicando tutta la forza politica del suo strappo. Una condanna netta «della forzatura e dell'errore che i partiti della federazione dell'Ulivo hanno compiuto nel promuovere questi referendum, per la mancata informazione degli altri partner e per il contenuto». Rutelli non si è fermato qui e ha aggiunto che «il referendum contrasta con il programma dell'Ulivo 2001-2006». Non è lui che si allontana, dunque, sono Romano Prodi e Piero Fassino che tradiscono lo spirito originario della coalizione.
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