Reggiani, sentenza-scandalo: stuprata, uccisa e condannata

Niente ergastolo per il romeno che bastonò a morte Giovanna in un agguato alla periferia di Roma. Per il Tribunale il colpevole è la vittima: invece di opporre resistenza, avrebbe dovuto assecondare il mostro

Reggiani, sentenza-scandalo: 
stuprata, uccisa e condannata

Buon Natale, signori giudici della Terza sezione della Corte d’Assise. Che la digestione dei pranzi e del panettone, mischiata alla vostra limpida coscienza, vi sia stata lieve. Di uno di voi, il presidente Angelo Gargani, conosciamo anche il nome, e non lo dimenticheremo. È veramente raro infatti, sia pur nel desolante panorama offerto dalla magistratura italiana, incontrare una sentenza, quale quella che voi avete emesso nel caso dell’omicidio di Giovanna Reggiani, tanto ipocrita, vile, maschilista, inetta, diseducativa. Ho letto e riletto le frasi della motivazione, sforzandomi di capirne il valore sociale e di cogliere il vibrato del dettato costituzionale. Niente da fare.

«La Corte pur valutando la scelleratezza e l’odiosità del fatto commesso in danno di una donna inerme e da un certo momento in poi esanime, con violenza inaudita, non può non rilevare che sia l’omicidio che la violenza sessuale, limitata alla parziale spoliazione della vittima e ai connessi toccamenti, sono scaturiti del tutto occasionalmente dalla combinazione di due fattori contingenti: lo stato di completa ubriachezza e di ira per un violento litigio sostenuto dall’imputato e la fiera resistenza della vittima. In assenza degli stessi, l’episodio criminoso, con tutta probabilità, avrebbe avuto conseguenze assai meno gravi».

Vado avanti, finché mi regge lo stomaco. L’assassino, a causa della reazione della vittima, «non riesce ad averne ragione a mani nude»; la sua responsabilità, unico aggressore, «è pienamente provata. La selvaggia violenza dei colpi sarebbe stata inutile se l’azione fosse stata condotta da più persone»; ciononostante «all’epoca era ventiquattrenne, incensurato, e l’ambiente in cui viveva era degradato. Queste circostanze, assieme al dettato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione, inducono la Corte a risparmiargli l’ergastolo, concedendogli le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, pur irrogando la pena massima per l’omicidio».

Non sfiora l’anima bella dei giudici l’idea che proprio in un caso come questo sarebbe stata necessaria la pena esemplare dell’ergastolo: si è trattato di un episodio mostruoso, l’assassino è stato trovato ricoperto di sangue, fino all’ultimo, fino alla sentenza, ha scelto di negare la colpevolezza, ha seviziato e ucciso per ottenere gli spiccioli di una borsetta. Queste sono aggravanti, non attenuanti. L’omicidio Reggiani ha turbato il Paese e fatto riflettere gli abitanti della capitale sulla necessità vitale di non rimanere indifferenti al degrado, li ha fatti riflettere sull’insipienza di un’Amministrazione, quella del sindaco Walter Veltroni, che ostentava un controllo sociale che invece non sapeva né voleva svolgere. Contro qualunque pericolo di riflusso razzista, contro la manipolazione della legittima protesta dei cittadini, proprio una sentenza esemplare sarebbe stata opportuna. Avrebbe indicato ai delinquenti del mondo che penetrano l’Italia come un territorio di facile e impune saccheggio che qui c’è una legge che sa essere severa. Nessun dettato costituzionale, infatti, sia pur di una Costituzione che viene tirata da troppe parti come un elastico logoro, richiede che un italiano debba abdicare alla propria sovranità e sicurezza in patria.

Nelle parole che in italiano arduo quanto impreciso illustrano le ragioni dei giudici c’è un sentimento ancora più deteriore: c’è addirittura il disprezzo per la vittima e segnatamente il disprezzo per una donna. Vengono ancora, con disinvoltura colpevole, utilizzate le vecchie motivazioni dei processi per stupro, ovvero il comportamento dell’aggredita. Solo che nel caso della povera Reggiani si rovescia il ragionamento. È colpevole perché ha resistito, perché le cosce le ha tenute serrate e il seno ha cercato di proteggerlo dall’insulto. È colpevole perché se così non avesse fatto nessuna l’avrebbe ammazzata, solo seviziata, violentata, rapinata, riempita di botte. Se avesse capito, la sventata, che il suo povero assalitore altro non era che un ragazzino sbandato, ubriaco e anche un po’ incazzato perché gli era toccato di sostenere un litigio, che la voleva solo spogliare parzialmente e toccarla un po’, che le voleva portare via la borsetta e poi lasciarla in pace, ecco se fosse stata abbastanza furba da comprendere le circostanze e la psicologia dell’assassino, oggi sarebbe viva. È lei la colpevole.

Signori giudici, per difendersi da voi c’è poco da fare, tra di voi vi assolvete sempre.

Mi basterebbe sapere che in calce a queste quattro frasi di una a cui avete fatto andare il Natale di traverso, ci siano nei prossimi giorni un po’ di firme di gente che da voi prende le distanze, e non vi riconosce come degni.

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