Reggio, sindaco choc: città piena di campi rom

Il primo cittadino di Reggio Emilia voleva dividere gli zingari in micro insediamenti. Risultato: erano quattro, ora ce ne sono decine. E la città si ribella

Reggio, sindaco choc: 
città piena di campi rom

Reggio Emilia - Un'infezione di morbillo. Decine e decine di puntini rossi sparpagliati quasi ovunque, come un contagio sulla piantina di Reggio Emilia. Ogni bollino vermiglio stava a indicare una delle aree che il piissimo e accoglientissimo sindaco del Pd, Graziano Delrio, aveva battezzato con il delicato vezzeggiativo di «campine». Qualcosa insomma di bucolico, di innocente, a metà strada tra Heidi e la vispa Teresa.

Erano invece, quei puntini rossi, le potenziali localizzazioni di mini insediamenti di zingari che nella testa del primo cittadino avrebbero dovuto essere spalmati «democraticamente» su tutta l'area urbana. Questo, dopo lo smantellamento degli accampamenti più grandi, già esistenti, che fanno di Reggio una delle città italiane con la più forte concentrazione di nomadi: 600 sinti in quattro campi, più 200 rom dalla presenza fluida, mobile. Gente che non si sa mai da dove arrivi e dove vada. Mentre che cosa faccia, quello lo sanno perfettamente tutti.

Contro la proliferazione di quei siti bonsai - dopo la loro individuazione avrebbero dovuto essere in tutto dieci - era intervenuta la Lega Nord. Rendendo innanzitutto pubblica un'iniziativa che nei piani municipali avrebbe dovuto passare inosservata (e ignorata dalla gente) fino a frittata fatta. E subito dopo scendendo in strada armata di tavoli dove raccogliere firme contro quell'idea scellerata.

In due giorni ne abbiamo raccolte tremila. Mi sedevo alla postazione la mattina e non riuscivo ad alzarmi fino a sera, quando chiudevo - racconta Gabriele Fossa, segretario provinciale del Carroccio e presidente della circoscrizione Città Storica -. All'insaputa dei loro mariti, sono venute a firmare anche tante mogli di consiglieri del Pd, scongiurandoci di andare avanti, di non mollare».

A fischiare Delrio, al quale un bello spirito della vox populi ha aggiunto una «i» proprio nel mezzo, storpiandone il cognome in «Delirio», era stata del resto già due anni fa proprio la «pancia» dello stesso popolo della sinistra, alla locale Festa dell'Unità, quando lui aveva affermato che «i problemi della sicurezza in città sono tutte balle».

Impegnato forse com'è a tirar su i suoi nove figli, il dossettiano e lapiriano professor Delrio, endocrinologo e docente universitario, si è distratto e non si è accorto di alcuni fenomeni (saranno forse altre balle?) che stanno cambiando volto a Reggio. Candidato del centrosinistra, ma primo sindaco non comunista, era stato eletto per la prima volta nel 2004, con il 64% dei consensi, e poi riconfermato alle ultime amministrative, ma con il 52%. Dodici punti in meno in un mandato! Questo in una città dove la sinistra aveva governato in passato con numeri bulgari e dove, per darne la misura, il vecchio Pci raccoglieva da solo oltre il 50% dei voti. Città dove oggi - dovrebbe sorprendere, ma ormai non sorprende - il candidato sindaco della Lega, il reggianissimo onorevole Angelo Alessandri, ha portato nel luglio scorso il Carroccio al 18,2% dal 4% delle precedenti amministrative.

Delrio, figlio di quell'«indemocristianimento» della vecchia sinistra avviato da Prodi e proseguito da Franceschini - una contaminazione che voto dopo voto sta facendo avvizzire il Pd - è l'espressione politica di Pierluigi Castagnetti. Ovvero «uno che a Roma non conta più nulla e al quale hanno lasciato l'orticello di Reggio», sintetizza l'ex sindaco (per 13 anni) Antonella Spaggiari, ex comunista ed ex diessina, veltroniana, ora a capo di una lista civica opposta a Delrio e per questo subito additata come «traditrice», nonché tessitrice di chissà quali inciuci con il centrodestra.

Sia quel che sia politicamente, sta di fatto che Delrio è perlomeno un uomo distratto. Che mentre continua a versare melassa, come ha fatto all'ultima Conferenza nazionale sull'immigrazione - «le città stanno vivendo un equilibrio delicato e va dunque creato un clima culturale giusto e sereno per affrontare tutti i problemi che l'immigrazione porta con sé», ha detto usando parole da far tremare i polsi a spacciatori africani e ladri romeni - si fa sfuggire il lato amaro del problema. Amaro che invece i suoi amministrati masticano ogni giorno e ogni notte.

Non si accorge, per esempio, il sindaco di Reggio, delle dimensioni della prostituzione e dello sfruttamento del lavoro nero gestiti lucrosamente e con polso di ferro nella Chinatown sorta attorno alla Stazione ferroviaria. «Noi l'avevamo denunciato già nel '98 e solo per aver portato lì a parlare l'onorevole Mario Borghezio ci avevano dato dei “terroristi” e degli “allarmisti” - ricorda il consigliere comunale leghista Giacomo Giovannini -. Con il risultato che i reggiani, se possono evitarlo, oggi in stazione non ci mettono proprio piede».
Si scorda ancora, il sindaco, dello spaccio di droga a cielo aperto che sta cambiando volto al cosiddetto «esagono», il centro storico. Traffico sempre gestito in massima parte dalla storica casa madre della 'ndrangheta calabrese, che dai suoi magazzini generali milanesi fa scorrere qui, tra la via Emilia e il West, fiumi di veleno in bustina. Affidando però la seccatura della manovalanza ai nigeriani e ghanesi che stanno via via prendendo il posto dei magrebini. I quali, specie i marocchini, si sono invece «messi in proprio». Una joint venture, la loro, con famiglie di zingari che in un andirivieni di viaggi tra il Marocco e l'Italia, via Spagna, rientrano in Emilia con le roulottes cariche di marmocchi e «coibentate» con pani di hashish.
Sembra sfuggire dell'altro, a Delrio. Come l'attivismo su qualsivoglia fronte criminoso degli albanesi; oppure l'arrogante e perfino violenta questua delle nomadi e dei loro figli nei parcheggi dell'ospedale; o ancora l'agilità scimmiesca di bande di ex acrobati circensi romeni riconvertiti a una più proficua attività di ladri d'appartamento che non risparmia nemmeno i settimi o gli ottavi piani.

Per non parlare dello scippo e dello spaccio diffuso in un centro città dove la percentuale di immigrati, come ricorda la consigliera circoscrizionale del Pdl Sandra Canali, «è ormai arrivata 29,20% (dato aggiornato al 31-12-2008, ndr), provocando la progressiva fuga dai rumori, dalla violenza, dalla sporcizia, dalle chiazze di vomito e dall'odore dei bisogni fatti negli androni e contro le saracinesche dei negozi». Dal centro fugge però solo chi può, chi ne ha i mezzi. A restare sono i più poveri, i più deboli, gli anziani.

Il fatto che proprio Reggio Emilia, con il suo 15% di stranieri (senza dimenticare quel quasi 30% in centro storico) sia oggi la città italiana a più forte impatto immigratorio, non è però un caso. È qualcosa di studiato, di voluto, e che prima dell'avvio ai respingimenti, iniziava già nel centro di assistenza di Lampedusa. «Quattro anni fa, durante una mia visita - racconta il leghista Alessandri - molti di quei clandestini ammassati là mi mostrarono dei biglietti scritti a mano, ricevuti non solo da incaricati della Caritas, ma anche di una Cgil probabilmente in crisi di tessere e di iscrizioni. In quei biglietti c'erano le istruzioni per salire al Nord, e la maggior parte indicava guarda caso come arrivare proprio a Reggio e dintorni».

Il tam tam ha portato insomma lontano il messaggio che qui il motto diffuso è quello ecumenico dell'accoglienza, più che della denuncia. Facendo così di Reggio un caso unico in un'Italia afflitta dal generale calo demografico. La città è infatti la sola, nel Paese, a essere cresciuta in 15 anni di 30mila unità, passando dai 130mila residenti dei primi anni Novanta agli oltre 160mila attuali. E di questi oltre 22mila sono immigrati di ben 24 nazionalità, con in testa, nell'ordine, albanesi, marocchini, cinesi, ghanesi, romeni e ucraini.

Ad attrarli - ha denunciato il Carroccio in un suo studio - è inoltre la gestione delle graduatorie per accedere a importanti servizi sociali, come per esempio gli asili nido cittadini, «strutture senza alcun dubbio di eccellenza, dove con 30 punti si entra in quello che si preferisce con orario full time, con 25 punti in quello che passa il convento, mentre con 20 si rischia di essere esclusi». Tenendo in considerazione che anche soltanto 1 o 2 punti possono fare la differenza tra dentro e fuori.

Bene, la graduatoria viene stilata attribuendo un punteggio principale e uno secondario. Il primo, discutibile ma palese, contiene assurdità del tipo che il figlio di un carcerato ha comunque il massimo punteggio, mentre quello del poliziotto che putacaso lo ha arrestato, e la cui moglie è disoccupata o impiegata part time, rischia l'esclusione. Divorzio o separazione dei genitori vengono invece «premiati» con un punteggio da 14 a 18.

«Esiste poi un punteggio occulto che le famiglie ignorano, perché non riportato nella Guida del Comune, che culmina nel premio attribuito a chi ha i nonni guarda caso all'estero - spiegano alla Lega -. Cosicché il bambino che ha avuto la «sfortuna» di nascere da genitori italiani e che si ritrova con magari tre nonni tutti invalidi e uno a Palermo, non usufruisce di alcun beneficio».

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