Il giorno dopo la conquista della piazza da parte del popolo del leader moderato Moussavi a Teheran è andata in scena la normalizzazione, o almeno qualcosa che le somiglia parecchio. Unimmensa folla, convocata dalle autorità per quella che è stata ambiguamente battezzata «marcia dellunificazione», ha riempito la piazza Vali-asr (la stessa dove il giorno prima sfilavano i sostenitori dellopposizione) urlando slogan da stadio a sostegno del presidente Mahmoud Ahmadinejad, il vincitore di elezioni palesemente truccate: «Dove sono i coraggiosi amici di Moussavi?», gridava provocatoriamente la marea umana.
Ma Moussavi non è caduto nella trappola. La sua gente se nè rimasta a casa, lui stesso laveva invitata a non accettare il rischio di scontri di piazza che facilmente sarebbero potuti degenerare nel sangue: già lunedì si erano dovuti contare sette morti, riconosciuti da unemittente radio ufficiale come vittime di un assalto a una caserma della famigerata milizia islamica dei basiji. Torneremo lindomani, ha detto, quando non saremo attesi al varco dai nostri avversari. Solo qualche centinaio di attivisti hanno sfilato comunque, dirigendosi in serata verso la sede della televisione di Stato, oggetto del loro odio e della loro denuncia di parzialità. Ma il giorno della verità sarà appunto oggi.
Al di là delle inquietanti vicende piazzaiole, le autorità iraniane inviano messaggi solo apparentemente contradditori. Da una parte sembrano cedere alle pressioni dellopposizione, cui ieri si è unito (fatto molto significativo) un conservatore come Ali Larijani. Viene così offerta la disponibilità al riconteggio delle schede, ma solo parziale e comunque escludendo lannullamento delle elezioni: lo ha confermato ieri sera in Tv la stessa Guida suprema della Repubblica islamica, Alì Khamenei. Dallaltra arrestano oppositori vicini allex presidente Rafsanjani e scatenano la censura nei confronti dei giornalisti stranieri, impedendo loro di seguire le manifestazioni antiregime, e alzano la voce contro chi allestero - è il caso dellUnione Europea, ammonita attraverso gli ambasciatori di diversi Paesi a Teheran, tra cui quello italiano Alberto Bradanini - si è permesso di criticare disonestà e violenze di chi comanda in Iran. Tutto ciò è in realtà parte di una medesima logica, dal momento che non ha senso aspettarsi dal riconteggio dei voti maggiore onestà della prima conta, ammesso che ne sia mai stata fatta una. È dunque solo un po del vecchio gioco del bastone e della carota.
LIran si chiude al mondo occidentale, dunque, ma va in cerca del sostegno di chi è ben disposto a darglielo. Non a caso ieri Ahmadinejad era a Ekaterinburg, in Russia, per partecipare al vertice dellOrganizzazione per la cooperazione di Shanghai: in pratica un raggruppamento centro-asiatico a guida russo-cinese. Qui il leader iraniano ha ottenuto quel che cercava e di cui ha in questo momento un assoluto bisogno: la legittimazione da parte di potenze amiche sulle scena internazionale. Russia e Cina si sono affrettate a fornirgliela, congratulandosi per la sua rielezione e ostentando totale indifferenza per i disordini in Iran. Esattamente come Ahmadinejad, che ha completato lopera evitando anche solo di nominarli. Ha invece attaccato «limperialismo americano», il che non pare esser dispiaciuto al presidente russo Dmitry Medvedev né a quello cinese Hu Jintao.
Almeno da Occidente arrivano invece esortazioni e critiche. Il presidente americano Barack Obama, che non vuole compromettere le prospettive di dialogo, si mantiene prudente: ha detto però che vede poche differenze fra Ahmadinejad e Mussavi perché in entrambi i casi si è in presenza di un regime ostile agli Stati Uniti.
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