Non è la prima scintilla di uninsurrezione destinata a ribaltare il regime, ma è un sintomo. È la prima, dolorosa pustola del contagioso scontro tra sciiti e sunniti pronto a contagiare lo stesso Iran. Certo qui linfezione settaria si mescola a molti altri malanni. Qui bisogna fare i conti con lintegralismo sunnita, il terrorismo al qaidista, il traffico di droga, il congenito caos di una zona di frontiera affacciata su Afghanistan e Pakistan. Ma quellautobus pieno di guardiani della rivoluzione bloccato a colpi di mitra alle porte di Zahedan, capoluogo della provincia del Sistan Beluchistan, quellautobomba esplosa un attimo dopo, quegli undici cadaveri di guardiani della rivoluzione tra le lamiere squarciate, i trenta loro compagni feriti, sono il segnale di un regime sempre più in difficoltà nel controllo della periferia. Un sintomo non incoraggiante per un Iran deciso a giocare il ruolo di grande potenza regionale e assai poco rassicurante alla luce delle sue aspirazioni nucleari.
Il sanguinoso attacco rivendicato da Jundallah, le Brigate del Signore, una formazione dellintegralismo sunnita attiva soprattutto in Pakistan, è il primo a colpire così duramente i Guardiani della Rivoluzione, lunità délite simbolo ed essenza della difesa della Rivoluzione khomeinista. A preoccupare ancor di più sono le modalità dellattacco. La strage denota, infatti, addestramento e tecniche militari senza precedenti. Il luogo dellagguato è la periferia di Zahedan, dove il formicolio del capoluogo di confine lascia posto a trincee, posti dosservazioni e garitte. Gli assonnati pasdaran a bordo dellautobus vanno a dare il cambio ai loro commilitoni reduci da una notte di guardia sulle strade di una regione dove la guerra al narcotraffico è costata negli ultimi 25 anni oltre 3.300 caduti. Stavolta, però, i pasdaran non hanno tempo di combattere. Le prime raffiche di kalashnikov servono solo a farli rallentare. Un attimo dopo unauto inchioda davanti lautobus e lo blocca. Guidatore e passeggero si buttano fuori e scappan via. Pochi secondi dopo lauto è una fontana di fuoco, lautobus una carcassa sventrata e insanguinata. I morti sulle prime sembrano una ventina, ma a metà mattina il bilancio definitivo conta 11 pasdaran uccisi e 31 feriti. Le autorità danno per certa anche luccisione di due componenti del commando terrorista. Gran parte delle fonti di Teheran concordano nel citare la rivendicazione di Jundallah e nellattribuire la paternità dellattacco alla filiazione locale del gruppo comandata da tal Abdolmalek Rigi. Alcuni esponenti del potere clericale cercano però di far passare lidea di un coinvolgimento statunitense.
Abbasali Soleimani, rappresentante nella regione dellayatollah Alì Khamenei, suprema guida politico religiosa del Paese, suggerisce lidea di un attentato messo a segno da un gruppetto infiltratosi dallestero con laiuto e la copertura di Washington. «Bisogna - dice Soleimani - giudicare con pazienza e realismo, bisogna separare le motivazioni di qualche gruppetto di ribelli da quelle dei fratelli sunniti, che non possono venir considerati i responsabili di questo crimine».
Il ministro dellIntelligence aveva annunciato, una settimana fa, lindividuazione di un centinaio di spie al soldo di Stati Uniti e Israele particolarmente attive nella destabilizzazione delle zone di frontiera. Laccusa, giustificata forse nel caso delle provincie curde, di quelle azere e nella regione a maggioranza araba del Kuzhestan, è assai improbabile nellagitato Sistan Baluchistan. Qui i ribelli sono formazioni tribali legate allintegralismo sunnita e ai gruppi afghani e pakistani responsabili del traffico di oppio ed eroina.
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