Regina Spektor: «Dylan? Sorpassato Meglio Hemingway»

Profuga dall’Urss, ha lanciato l’antifolk e il suo cd è un fenomeno in Usa «Io canto dolci miniature»

da Milano

Eccola, la senti parlare e da quella vocina ti aspetteresti pennellate di fantasia o casomai gocce di ricordi. E invece no, Regina Spektor è un tipino tosto cui dopo la pubblicazione del cd Begin to hope tutti a New York danno del lei, specialmente al Sidewalk Café, vicino alla Second Avenue, dove gorgoglia l’antifolk, il carrozzone musicale progressista e sfrontato che mescola l’arrabbiatura punk con i suoni della tradizione americana. Ora, a 26 anni, Regina Spektor è la cocca della New York chic, quella che al Blue Note non ci va perché si mangia così così e la musica è sempre quella e invece una volta, al Village, le idee scoppiettavano per accendere un’altra vita. Ma prima di arrivare qui, Regina ha cantato la sua «immigrant song», la canzone degli immigrati che di solito è così sporca di fango e malinconia. È nata a Mosca nel 1980, da un fotografo e da un’insegnante di musica, famiglia ebrea ai margini della società perché «Gorbaciov era molto aperto, per carità, ma ai livelli più bassi la società era un vero regime e noi sui passaporti dovevamo avere la definizione “giudeo” come ai tempi del nazismo». E così la famiglia Spektor nel 1989, all’alba della perestroika, fa le valigie e scappa perché finalmente in Unione Sovietica gli ebrei possono permettersi di farlo. Prima Vienna. Poi Ladispoli: «Eravamo in un campo di accoglienza povero e spoglio anche se c’era la spiaggia: che sorpresa, che bello. E Roma. Quando l’ho vista ero ancora una bambina ma mi è sembrato di essere proprio dov’è nato il mondo». Pur di scappare da Mosca, gli Spektor avevano rinunciato al patrimonio di famiglia: il pianoforte Petrov. Ed è stato poi difficile trovarne uno nel Bronx, dove «con pochi stracci» hanno trovato un alloggio vicino alla sinagoga. Al pomeriggio Regina studiava musica sui banchi in cantina. «Qualche tempo dopo sono andata a lezione da Sonia Vargas, ho iniziato ad ascoltare Joni Mitchell e scoprire Bob Dylan, che insieme a Chopin è stato il mio faro. Ma i fari servono per andare avanti, non indietro no?». E così l’antifolk. Lei dice che è «musica acustica influenzata dal punk» e lo dice con quella vocina esile che il volto pallido assopisce ancor di più. «Le mie canzoni sono dolci miniature». È piccola, Regina Spektor, ma alta. E al Sidewalk è arrivata nel 2002 con brani come Poor little rich boy in cui citava Francis Scott Fitzgerald e Hemingway o Pound of flesh dedicata a Ezra Pound, e cantandole ha lasciato un segno nella thinking class e negli intellettuali borderline. E perciò lasciate perdere se la sua voce ha fatto capolino in Csi: New York o in Grey’s Anatomy, quella è roba di marketing.

Regina Spektor è un fenomeno perché viene dal buio eppure il suo cd Begin to hope è tra i più venduti in America e forse la spiegazione è nel video di Fidelity, dove le tinte optical esplodono in «pigment powders», in colori vivissimi che come dice lei «danno gioia» e, come vien da pensare, aiutano a metter più luce in cose già viste senza cancellare tutto per creare chissà cosa.

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