Le regine del bosco ovvero l’epica lotta delle brigantesse

Chi erano le brigantesse? Erano più criminali che patriote? Ognuno può dare il proprio giudizio. Certo è che, contro di loro e contro i briganti, l’Italia commise crimini terribili. Città intere furono saccheggiate, le fucilazioni divennero strumento educativo per la popolazione, le carceri si riempirono di sospetti traditori della patria: che fossero uomini o donne, ragazzi o bambini non importava. Ogni diritto umano fu calpestato e si dimenticarono pietà e compassione. Alle donne non fu risparmiato nulla e dovremo raccontare degli stupri di cui si resero colpevoli i soldati piemontesi. Colpe per cui nessun uomo delle truppe sabaude pagò.
Anche i briganti si rivelarono ferocissimi, ai soldati poteva capitare di venire evirati, da morti o da vivi: una pratica che nessun esercito perdona. Si diceva che fossero proprio le brigantesse a compiere l’opera, ma è difficile credere che i loro uomini lo permettessero.
Furono tremendi gli interventi legislativi e l’approccio militare scelti per controllare il malcontento, sedare le rivolte e rendere «italiano» il sud arretrato e affamato dai Borbone, come i piemontesi vollero presentare il regno delle Due Sicilie. E il peggio, per i meridionali, arrivò nei primi decenni dopo l’Unità.
Per comprendere quel periodo è necessario raccontare le vite di uomini, e soprattutto di donne, rimaste troppo a lungo vittime della propaganda risorgimentale. E le brigantesse meritano il loro posto nel nostro passato e di essere ricordate per quello che furono, non più dunque mito, leggenda o modello da sfruttare nel bene e nel male.
La storia dimostra che il popolo si ribella solo quando la sofferenza supera il limite del sopportabile e se intravede possibilità di riuscita. Per le donne è diverso. Una donna meridionale dell’Ottocento diventa una combattente pronta a tutto se le si impedisce di vivere, amare, accudire; se le si nega la possibilità di essere donna come erano state la madre e la nonna prima di lei, come le avevano insegnato; se le si toccano i figli, il proprio uomo.
Ubbidirono all’istinto – a leggi ataviche e naturali – più che alla consapevolezza di farsi paladine dell’autodeterminazione femminile, certo inconsapevoli che, un giorno, sarebbero state riconosciute come le prime femministe italiane. Impugnando le armi e condividendo la vita alla macchia delle bande, le brigantesse rivendicarono il diritto di vivere la propria vita, assumendo su di sé il potere e la libertà di decidere, la responsabilità delle proprie scelte e spesso un ruolo inedito di comando.
Rifugiandosi in un bosco accanto al marito o all’uomo amato, portando in grembo un figlio e in spalla il fucile, le brigantesse vissero in piccole società in cui i ruoli venivano assegnati ai componenti della banda, non ai maschi o alle femmine. A loro importava poco se gli abiti che indossavano – sovente sfilati ai soldati nemici uccisi – erano di una stoffa così ruvida da provocare ulcere dolorosissime dopo ogni spostamento a cavallo, cavalcato a pelo perché non c’è tempo di sellarlo quando ti danno la caccia. E il cavallo è un prezioso, ambitissimo strumento bellico per l’epoca: solo una minoranza di briganti ne può avere uno. Non fa nulla se mantenere la propria femminilità è quasi impossibile, se si deve dormire in una grotta o all’addiaccio, perché il posto della brigantessa è lì, lo ha scelto lei.
Fecero la scelta dei boschi, che allora non erano i luoghi romantici dei nostri tempi, bensì posti che incutevano paura anche a chi li abitava. «Meglio morire in piedi che continuare a vivere in ginocchio» ripetevano i contadini diventati briganti. Ma la ribellione non è per tutti. Soprattutto per le donne, resistere fu l’eccezione, non la regola; e tutte pagarono un prezzo molto alto. Prima erano contadine e filatrici, cucivano, ricamavano oppure andavano a servizio nelle case dei signori del paese. Si occupavano della famiglia, crescevano i figli e accompagnavano il marito nelle fatiche quotidiane. Poco più che bambine, la maggior parte già conosceva il mondo attraverso il sudore, la fame, i soprusi, le mani callose, la schiena che fa male. Poi un evento – una tragedia o una gioia grande come l’amore – stravolge tutto all’improvviso e di quella normalità, sia pure terribile, non resta più nulla.
Per amore diventarono brigantesse anche Maria Capitanio, Michelina De Cesare, Maria Oliverio e Filomena Pennacchio. Per amore, sì, ma occorre riflettere sul perché il fenomeno delle brigantesse esplose proprio durante la guerra civile scoppiata tra «piemontesi» e meridionali negli anni Sessanta dell’Ottocento.

Il brigantaggio esisteva dal Cinquecento, nel Sud e nello Stato della Chiesa, però fu soltanto allora che tante donne ne divennero protagoniste: perché il fenomeno si era enormemente ampliato, ma anche perché le donne meridionali volevano prendervi parte attiva, ossia combattere.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica