Roma«Non è vero che siamo in balia degli eventi, teniamo un filo logico: quello di rendere più competitivo il nostro partito», dice Pierluigi Bersani.
Il segretario del Pd, tornato dal suo Natale a New York, cerca di rassicurare il popolo di centrosinistra, smarrito davanti al bailamme scoppiato attorno alle elezioni regionali da Nord a Sud, dalle regioni rosse fino alla capitale, dove è ancora aperta la partita su Emma Bonino. Sul cui nome il Pd apre ma non scioglie ancora le riserve, mentre si fanno sempre più fragorose le proteste interne: lala teodem dissente, Paola Binetti minaccia per lennesima volta di andarsene dal partito se verrà scelta la «anticlericale» Bonino; Enzo Carra invita Bersani a «pensarci bene su»; lala veltroniana fa circolare il nome di Achille Serra (ex prefetto ed ex parlamentare di Forza Italia, ora Pd) come possibile alternativa alla Bonino. Mentre lUdc ha formalizzato lappoggio a Renata Polverini, secondo un patto fatto da tempo con Fini e noto anche ai vertici Pd.
Ieri Bersani, che ha convocato una conferenza stampa per rompere il silenzio natalizio, ha anche tentato di dare una prima risposta ai critici interni, sempre più insistenti, che lo accusano di «aver consegnato il Pd a Casini» e di «farsi dettare la linea e scegliere i candidati dallUdc», come ripetono in molti dalle parti veltronian-franceschiniane. Lalleanza con lUdc è strategica, fa capire Bersani: «Da soli, o con un solo interlocutore (Di Pietro e quel che resta della sinistra, ndr) prendiamo solo tre regioni», ossia quelle rosse. Senza accordi con i centristi, dunque, il Pd è destinato a restare chiuso nel orticello elettorale post-Pci. A chi gli chiede quale risultato si auguri dal match di marzo con il centrodestra, nel quale il Pd parte dal record del 2005 (11 governi regionali contro 2), Bersani risponde che «è una domanda difficile, e il giorno dopo il voto non dirò mai che ho vinto o perso», ma che «ogni passo avanti rispetto alle ultime europee è positivo».
Insomma, visto che si dà per scontata la perdita di diverse regioni (ad alto rischio Calabria, Campania, Lazio, Puglia), il segretario del Pd mette le mani avanti e annuncia che quel che conterà, alla fine, sarà la percentuale del partito. E per ora i sondaggi continuano ad attribuirgli un rassicurante 30%, in netto recupero rispetto alle Europee, che si svolsero dopo le dimissioni di Veltroni e con Franceschini segretario.
Sarà forse per questo che il leader del Pd sta affrontando con tanta flemma il caos che si agita dentro e attorno al suo partito. Gli alleati che già in 11 regioni governano con il Pd, ossia sinistra e Italia dei Valori, ieri erano sul piede di guerra. Sinistra e libertà, dopo lo schiaffo a Nichi Vendola in Puglia, ha annunciato di aver sospeso ogni trattativa col Pd in tutta Italia. Antonio Di Pietro fa la voce grossa: «Il Pd deve farci capire se intende fare una coalizione o no. Deve decidere altrimenti andremo da soli in tutte le regioni». Accusa: «Il Pd è allo sbando totale, lindecisionismo regna sovrano». Delicato anche il capitolo riforme. Bersani apre: «Pronti al confronto», anche se poi subito vuol dettare lagenda: «Così lagenda delle riforme è sbagliata. Io non dico che una riforma della giustizia non è una priorità, ma la mia preoccupazione principale è di dare risposte al paese». Di Pietro immediatamente minaccia: «Se volete essere alleati con noi, non potete fare ammiccamenti agli assassini della democrazia». Per di più, in privato, lex pm fa sapere che durante i suoi contatti con i vertici Pd sul caso Bonino, gli sarebbe stato fatto capire che un suo veto sulla candidatura della leader radicale sarebbe stato ben accolto dal Pd: «Non vogliono essere loro a dirle di no, e vorrebbero che lo facessi io. Ma me ne guardo bene», confidava ieri Di Pietro. Versione, la sua, smentita dal vertice Pd: «Pur di avere visibilità e rubarci qualche voto, Di Pietro sarebbe capace di dire qualsiasi cosa - replica un dirigente vicino al segretario -. Ma figuriamoci se Bersani andrebbe a confidare una cosa del genere a un gentiluomo come Di Pietro... ».
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