In Regione si esaltano gli omicidi dei poliziotti

In Regione si esaltano gli omicidi dei poliziotti

(...) Concetto ribadito a chiare lettere dalle figlie del ferroviere anarchico, che tra la notte tra il 15 e 16 dicembre del 1969, venne fermato come sospettato e cadde dalla finestra dell'ufficio della polizia politica guidata dal commissario Calabresi, al quarto piano della questura di Milano, morendo poco dopo. Da quella morte seguì una campagna diffamatoria e di odio contro il commissario Calabresi, accusato di aver gettato dalla finestra l’anarchico, fino a quando estremisti di Lotta Continua organizzarono il suo omicidio per vendetta.
Ieri in Regione il posto d’onore sul palco di chi parlava di «vittime della violenza di Stato» è toccato alle figlie di Pinelli. Intendendo con ciò chiaramente insistere su una falsità dimostrata in ogni grado di giudizio e volendo far passare la vittima ancora una volta come carnefice, come killer dello Stato
Così, la Regione, dopo aver promosso la ricorrenza della rivolta violenta di piazza del 30 giugno del 1960, diventa sede istituzionale (pur non essendo presenti rappresentanze politiche), di un dibattito all'interno del quale emerge, che Giuseppe Pinelli, è stato ucciso dallo Stato. Nella sala incontri della Regione a De Ferrari, Claudia e Silvia Pinelli insieme a Francesco Barilli, sono state protagoniste del convegno: «Vittime di Stato. Quale Giustizia?», organizzato dal comitato «Piazza Carlo Giuliani onlus». «Si è vero, la Regione Liguria ha concesso gratuitamente la disponibilità a svolgere il convegno in questa sala. Così come accade per altre manifestazioni», chiariscono i genitori di Carlo Giuliani; incontro che ha dato il via alla due giorni di eventi per non «dimentiCarlo», e per ricordare il nono anniversario dei fatti del G8.
Giuseppe Pinelli e Carlo Giuliani, vittime dello Stato. Non un cenno al fatto che il commissario Calabresi, che risultò non essere neppure presente in quella stanza al quarto piano della questura quando morì Pinelli, venne freddato il 17 maggio 1972 da un commando di Lotta Continua, il cui mandante, come appurato da diverse sentenze, risulta essere stato Adriano Sofri. Ieri, invece, le testimonianze, le letture e i ricordi dei familiari si sono incrociati, soltanto per dire insieme che Giuseppe Pinelli, Francesco Lorusso (il militante di Lotta Continua) e Fausto e Iaio (i due ragazzi del centro sociale Leoncavallo), altro non sono, che vittime di agguati di Stato. In chiave privata, Claudia e Silvia Pinelli, sono partite dalla lettura di un compito in classe che Claudia scrisse poco dopo la morte del padre: «La Polizia non sapeva dove mettere le mani, così si accanì contro gli anarchici. Alcuni ricordi sono nitidi, altri sono confusi - spiegano le due donne -. La nostra casa era molto aperta, mia madre batteva a macchina le tesi degli universitari, e c'era sempre molta gente - continua Claudia -. Ricordo che tornai a casa, e vidi delle persone. Non mi interrogai più di tanto.

Mia madre mi spiegò che erano poliziotti in borghese, e mi avvertì che mio padre era caduto dalla finestra. È qui che finisce la nostra vita normale e ne inizia un'altra». La verità ribaltata. Ospitata gratuitamente dalla Regione.

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