La Regione taglia i fondi a due ambulatori per i disturbi alimentari

Antonella Aldrighetti

La scure della razionalizzazione delle risorse sanitarie regionali si sta abbattendo sui servizi ambulatoriali dedicati ai pazienti più deboli. Dopo gli scherzi tirati agli hospice per malati terminali sull’orlo della bancarotta e a un ambulatorio per la cura della depressione e dell’ansia con a carico oltre 200 pazienti, la giunta regionale si accinge a prendersela con le strutture territoriali che si occupano dell’assistenza a chi ha disturbi alimentari come anoressia e bulimia. Due i centri che attendono i finanziamenti regionali per tirare avanti: quello di viale Angelico (Asl RmE) affiliato all’ambulatorio del Santo Spirito, che peraltro nel 2004 ha ricevuto anche il premio d’eccellenza, e quello del Policlinico Umberto I che offre day hospital e trattamenti di degenza ospedaliera. «Abbiamo sollecitato Asl e Regione - spiega Roberto Vernarelli, presidente del XVII municipio - perché eroghino il consueto contributo finanziario per mantenere in vita il centro diurno di Prati, che è un nostro fiore all’occhiello, serve anche malati che arrivano fuori dal Lazio. In tutto sono in carico all’ambulatorio un migliaio di persone cui eroghiamo, oltre alle consuete terapie, assistenza psicologica e sociale. Ci spettano circa 40mila euro, soldi di cui non possiamo farci carico noi». Stessa sorte incombe sull’unità operativa dell’Umberto I affiliata a Neurologia, dove, in attesa che venga aperta la II Clinica neurologica, i pazienti anoressici e quelli bulimici rimarranno in balia di se stessi.
Ma l’assessore alla Sanità Augusto Battaglia non parla sempre di incrementare la medicina di prossimità? «Se questi tagli indiscriminati - chiosa il segretario regionale della Fials-Confsal Gianni Romano - rappresentano la futura medicina di prossimità sulla quale dovranno fare affidamento i cittadini del Lazio, la giunta di Piero Marrazzo sta sbagliando di grosso. Non serve abolire un euro di ticket per ogni farmaco prescrivibile, con un risparmio per la famiglia di poche decine di euro l’anno, quando, continuando a ridurre l’offerta dei servizi sanitari pubblici o convenzionati, i malati saranno costretti a rivolgersi all’assistenza privata e pagare di tasca propria».


A questo punto il dubbio è legittimo, e noi lo giriamo a chi di dovere. Caro Marrazzo, non sarà che le risorse per compensare il mancato introito della tassa sulle ricette provengono proprio dai tagli ai servizi ambulatoriali? Ai prossimi giorni (forse) la risposta.

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