Cultura e Spettacoli

Il regista geniale che litigò con tutti e rivoltò il western

L’assistente Katy Haber ricorda l’autore scomparso

Carlo Faricciotti

da Milano

Prosegue fino a martedì, alla Cineteca di Bologna, la «Maratona Sam Peckinpah»: tutti i film e le serie televisive da lui dirette o sceneggiate, una mostra di foto, locandine, oggetti da collezione. Nato nel 1925 e morto a 59 anni nel 1984, David Samuel Peckinpah, tredici film in vent’anni, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta stravolse un genere ormai vetusto come il western con massicce iniezioni di violenza, eroismo senza bandiere, passione e senso dell’onore. A parte un pugno di attori (Warren Oates, Kris Kristofferson, James Coburn, David Warner) litigò con tutti, soprattutto i produttori e l’unica assistente che resistette a lungo con lui fu l’inglese Katy Haber, presente a Bologna. «Ci conoscemmo nel 1971, quando venne in Inghilterra per girare Cane di paglia, dopo aver terminato La ballata di Cable Hogue. Poi quando iniziò a lavorare su L'ultimo buscadero mi chiamò e mi disse “Che ci fai ancora in Inghilterra? Corri in Arizona, ho bisogno di te per un altro fottuto film!”. Ho lavorato con lui per otto anni e otto film, dal 1971 al 1978, da Cane di paglia a Convoy-Trincea d'asfalto, passando per L'ultimo buscadero, Getaway, Pat Garrett e Billy Kid, Voglio la testa di Garcia, Killer Elite, La croce di ferro. Poi stremata, anzi esaurita, ruppi con lui, che peraltro dopo Convoy riuscì a girare un solo altro film prima di morire, Osterman Weekend, nel 1984».
Su Peckinpah girano tutt'ora un sacco di leggende: che si aggirasse sul set ubriaco e armato di pistola, o che nelle sue vene scorresse sangue indiano. Ma la Haber lo ricorda come «preparatissimo e determinato. Aveva nella testa il film completo, praticamente girava le scene come le avrebbe montate. Il problema era che arrivava sul set senza sapere cosa avrebbe girato quel giorno, era sempre così praticamente fino a un attimo prima di battere il ciak». Non portava pistole mentre girava, anche se una volta ripetè una scena di Pat Garrett e Billy Kid, quella in cui Pat Garrett, dopo aver ucciso Billy, spara alla sua immagine nello specchio: «Sam era nella sua camera, in albergo, e sparò allo specchio. La direzione dell’hotel fu costretta a sostituire lo specchio». Quanto agli antenati pellerossa, «diceva di avere origini Paiute, ma c'è chi dice che in realtà la sua famiglia fosse di origine olandese».
Leggende a parte, il suo cattivo carattere era leggendario, non a caso a Hollywood era famoso come «Bloody Sam» o «Mad Sam»... «In realtà era un perfezionista, ripeteva le scene fino allo sfinimento, voleva afferrare la realtà, trasportarla nella pellicola», e questo ovviamente lo metteva in conflitto con i produttori: «Sierra Charriba, il suo secondo film, del 1965, fu massacrato e anche per Il mucchio selvaggio e Pat Garrett e Billy Kid ebbero un sacco di rogne. Ma anche Steve McQueen, con cui girò due film, L'ultimo buscadero e Getaway, gli creò problemi: volle sostituire la colonna sonora di Getaway, firmata da Jerry Fielding, con musiche scritte da Quincy Jones. Non ho mai capito perché lo fece, ma Sam lo odiò per questo e ruppe con lui per sempre». Peraltro litigare con Peckinpah non doveva essere difficile... «Era un uomo dalle passioni forti, tribolate, ma è stato uno degli incontri più ricchi di emozioni della mia vita. Dopo Convoy non volli più avere niente a che fare con lui, ma quando seppi della sua morte piansi e provai rabbia: sapere che non avrebbe più girato film mi sembrò una grande ingiustizia. Ho lavorato con Ridley Scott, Samuel Fuller, Michael Cimino e tanti altri, ma Sam era veramente un genio».
Un genio che amava e rispettava il cinema classico hollywoodiano, quello dei John Ford, Howard Hawks, John Huston, sentiva di avere poco a che spartire con Spielberg & C. («tutto nei suoi film era vero, fisico, non avrebbe mai realizzato un solo fotogramma con il computer») e ammirava Don Siegel, Akira Kurosawa e, incredibilmente, Louis Malle, Federico Fellini, Ingmar Bergman: «Trovava nei loro film quei temi che lo appassionavano: la complessità delle relazioni umane, il rapporto padri-figli, la mescolanza di vita e morte... Pensava che Fellini e Bergman fossero più contemporanei di Spielberg». Che epitaffio dedicargli, allora? «Le parole del reverendo Sloan quando seppellisce Cable Hogue: “Signore, mentre il giorno volge alla sera, diciamo addio al nostro amico.

Prenditelo, Signore, ma conoscendo Cable ti suggerisco di non prenderlo troppo alla leggera”».

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