Con luccisione di monsignor Luigi Padovese, il vicario apostolico dellAnatolia assassinato ieri, la Chiesa cattolica perde uno dei suoi uomini migliori in quellarea.
Nato a Milano nel marzo 1947, frate cappuccino professo nel 1968, prete dal 1973, Padovese era un colto biblista e teologo. Professore di Patristica alla Pontificia università dellAntonianum, per sedici anni ha diretto lIstituto di Spiritualità nel medesimo ateneo. Nellottobre di sei anni fa Giovanni Paolo II laveva nominato Vicario apostolico dellAnatolia e vescovo titolare di Monteverde. Padovese aveva significativamente scelto di non farsi consacrare in Italia, ma a Iskenderun, in Turchia, in quella che sarebbe diventata la sua nuova sede. Un Paese laico a maggioranza musulmana, dove i cristiani negli ultimi anni hanno vissuto difficoltà e subito violenze. Padovese voleva, con quella scelta, esprimere meglio la sua nuova appartenenza e sottolineava che il suo compito era quello di annunciare il Vangelo ovunque e a tutti. «La mia diocesi diceva il vescovo assassinato in unintervista concessa al sito Sussidiario.net comprende quasi i due terzi dellintera Turchia: circa 480mila km quadrati. Unestensione vastissima in cui vivono tra i 2.500 e i 3.000 cattolici. Un numero approssimativo, in realtà non riusciamo a calcolare meglio il numero dei cristiani perché mancano le parrocchie che terrebbero registrati i fedeli».
«Nel 1927 i cristiani erano il 20 per cento, circa due milioni su una popolazione di 17-18 milioni continuava in quellintervista Il fatto che oggi ci troviamo ad essere un numero cosi risicato su una popolazione di 70-71 milioni è sintomo di una situazione segnata da innegabili discriminazioni. La Costituzione sancisce luguaglianza dei cittadini turchi. Non è la legge in quanto tale che causa questi fenomeni, ma la sua non applicazione
». Più volte Padovese aveva protestato con il governo di Ankara per le discriminazioni a cui sono sottoposti i cristiani e si stava adoperando per la restituzione di chiese a suo tempo confiscate. A conclusione dellAnno Paolino, aveva chiesto al governo di far sì che la chiesa cristiana di San Paolo a Tarso oggi un museo potesse tornare a essere un luogo di culto, ottenendo per il momento che almeno i cristiani intenzionati a entrare per pregare non dovessero pagare il biglietto. E nellultima intervista, il 26 maggio scorso, aveva ricordato limportanza dellesempio dato dai pellegrini durante lAnno Paolino: «Credo che la testimonianza più bella che si possa dare alla Turchia sia quella di vedere uomini e donne che pregano».
Chi lo ha conosciuto e incontrato lo descrive come un uomo gioviale e sapiente, gentile e rispettoso, aperto al dialogo con tutti, costruttore di ponti sia verso i cristiani ortodossi, sia verso i credenti musulmani, ma al tempo stesso coraggioso e capace di far sentire la voce della Chiesa. Nei sei anni trascorsi in Turchia ha consolidato molti rapporti e iniziato a dialogare con diversi intellettuali islamici del Paese. Dal 1989 monsignor Padovese organizzava ogni anno simposi in questi luoghi storicamente molto cari ai cristiani, coinvolgendo docenti universitari turchi.
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