Remotti, il canottiere-chansonnier

Lucio Filipponio

Remo Remotti è romano, ha ottant’anni, e di professione fa il canottiere sul fiume Tevere. Fuor di metafora Remotti può essere, senza dubbio, accreditato come uno dei più longevi ed energici artisti a tutto tondo. Poeta, scrittore, attore teatrale, televisivo e cinematografico, pittore (con opere esposte alla Biennale di Venezia e alla Berlinale), cantante, nonché canottiere, come l’omonimo suo primo cd, rigorosamente sul fiume che divide e unisce la sua amata Roma e sempre in compagnia di personaggi tutt’altro che di prima vista, da buon erede di una rara empatia pasoliniana. Istrionico animale da palco, Remotti dà il meglio di sé nelle performance live, in giro per locali e discoteche capitoline, accompagnato dal chitarrista Paolo Zanardi e dalla band Recycle. Preziosa occasione - domani sera al locale Beba Do Samba - per apprezzare classici del suo repertorio nonché nuove sferzate di stile. Una vita da outsider in fuga per l’America e l’Europa, tre volte in manicomio e una quotidianità attuale nel cuore della borghesia capitolina, Remotti è un personaggio-opera d’arte lui stesso. Nella sua «poetica» dominano le tinte forti, dotate di grande forza visiva, che raccontano un universo funambolico e felliniano, drammaticamente divertente, dissacrante, iconoclasta, irriverente verso tutto e tutti. Non incasellabile, appunto. Maschera cult del cinema d’autore: da Moretti a Bellocchio, da Scola ai fratelli Taviani.


«Canottiere» è la messa in parola del rapporto di amore e odio continuo e ineluttabile verso la propria città: dentro l’addio alla Roma degli anni Cinquanta, c’è tutta la capitale nelle sue debolezze e peculiarità dalla «Roma del volemose bene e annamo avanti» a quella «degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali» , «quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti», la Roma che «è mejo de Milano», dei mille bottegai, delle fontanelle, degli ex voto, dove chiunque è pronto a chiederti «che me dai ’na sigaretta?» Poi lo straordinario monologo «Noi non riusciamo più a vedere» («una mucca, signori, una mucca è Segantini, una pecora è Buñuel, una capra è Picasso... un cavallo, non ricordo di che colore, un cavallo dei carabinieri è Fattori») e con l’universo femminile scandagliato attraverso i personaggi di Silvana, Rosa, Rossella, Antonella e Barbara.

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