Le rendite di Geminello Alvi e la nostalgia dei comunisti

Geminello Alvi, Una Repubblica fondata sulle rendite, Mondadori, 2006, 125 pagine, 16 euro.
Pagine 45 e 46: «Comunisti frastornati che nulla avevano da dire, a cui si portavano via persino le seggiole da sotto il sedere all’ultimo congresso del Pci, finirono al governo, miracolati dalla magistratura. Ma come già accadeva a Est, tra scarpe inglesi, vela e inviti a cena di ricchi, scoprirono che i mercati gli piacevano.
«Erano già bene abituati a ossequiare misteri astratti dai dogmi tra i quali s’erano abituati a intrigare sin da bambini, e si trattava ancora una volta soltanto di mostrare che erano loro i più zelanti. Quindi eccoli, inflessibili nella morale di tassare, e soprattutto i poveretti, per non spaventare mai i mercati. Dandone però subito la colpa agli scialacquatori del passato, che in verità non avevano ordinato ai nuovi arrivati né di mutare i monopoli pubblici in privati, né la loro politica fiscale.
«Così, per riciclare in politica dei falliti, restati arroganti, si è creata negli anni più delicati una distribuzione che ha scoraggiato i consumi dei lavoratori e vieppiù favorito rendite e profitti.

Il cronico ammalarsi della domanda interna iniziò allora.
«Se insisto così tanto e con le viscere a sparlare degli una volta comunisti, è perché quelli veri, leali almeno ai castali interessi del lavoro, mi mancano».

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