Renzi sfida la fronda Pd: "Basta scontri ideologici o il partito torna al 25%"

Il premier scrive una lettera ai suoi per accelerare sul lavoro. Stoccate a Bersani, D'Alema e Cuperlo. E i sindacati si spaccano

Renzi sfida la fronda Pd: "Basta scontri ideologici o il partito torna al 25%"

Se la fronda Pd sperava di aver spaventato Matteo Renzi, dichiarandogli guerra sull'articolo 18, ieri il premier ha provveduto a disilluderla, più o meno a ceffoni. Verbali, si intende: a chi - da Vendola a Fassina a Bersani - lo accusa di fare «le politiche della destra» sul lavoro, replica agguerrito attraverso una lettera aperta agli iscritti Pd diffusa ieri: «A me hanno insegnato che essere di sinistra significa combattere un'ingiustizia, non conservarla. Difendere l'esistente è difendere le diseguaglianze». Attacca, mettendo direttamente nel mirino il suo predecessore Bersani, che sembra sognare la riscossa mettendosi alla testa dell'opposizione al premier sul Jobs Act: «Nel nostro partito c'è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportare il Pd del 25%. Noi no». E poi la sfida: «Siamo qui per cambiare l'Italia e non accetteremo mai di fare le foglie di fico alla vecchia guardia che a volte ritorna. O almeno ci prova».

In quell'«almeno ci prova» c'è tutta la determinazione del premier, che del resto pare tutt'altro che intimidito dalla resistenza sia nel Pd che nel sindacato: «Non si rendono neppure conto che non mi possono fare favore migliore che mettersi tutti insieme contro di me: D'Alema, Bersani, Cuperlo, Camusso. Ottimo», è il ragionamento che consegna a chi tra i suoi si preoccupa per l'esito dello scontro interno. Lui lo scontro lo vuole affrontare fino in fondo, nella convinzione che è da qui che passerà il radicale rinnovamento ideologico e di costume che vuole imporre al Pd, e lo spartiacque definitivo nei rapporti col sindacato.

E all'indomani del bellicoso video-messaggio del premier la Cgil ammorbidisce i toni: «Basta insulti al sindacato, guardiamoci negli occhi e discutiamone». Un invito al dialogo cui in verità anche a Corso d'Italia non credono molto, visto che Renzi dai rituali “tavoli” concertativi è sempre stato ben alla larga, convinti che il presidente del Consiglio andrà per la sua strada e che alla fine «anche in Parlamento si farà come dice lui», con buona pace delle grida di battaglia della sinistra Pd. Ma la Cgil tenta di divincolarsi dal ruolo di eterno signor-no a qualsiasi riforma che Renzi gli ha cucito addosso: «Noi la riforma del lavoro la vogliamo eccome, ma seria: sì al contratto a tutele crescenti, purché alla fine del percorso ci sia la pienezza dei diritti del lavoratore». E poi il fronte sindacale si è già diviso - come il premier aveva previsto coi suoi - e la Cisl di Bonanni si è decisamente smarcata, aprendo alla «rimodulazione» dell'articolo 18 e attaccando la Camusso: «Farebbe bene ad astenersi dal dire al premier che è come la Thatcher». Mentre Renzi, secondo il capo Cisl, «fa bene a mantenere questo profilo».

Ma c'è un altro fronte interno che non lascia tranquilla la Camusso sull'esito della sfida al governo Renzi: quello della Fiom. Certo, Landini fa la voce grossa sull'articolo 18. Ma al premier, con cui si è a lungo parlato di intesa tra “rottamatori”, manda un messaggio neppure troppo criptato: «Se vuole dialogare con noi, faccia la riforma della rappresentanza sindacale». E Renzi confidava proprio ieri a Repubblica : «Sono pronto a discutere una legge sulla rappresentanza sindacale, che è solo la Fiom a volere. E questo brucia agli altri sindacati». Nella Cgil, infatti, sono convinti che «tra i due ci sia un patto: Renzi darà a Landini la rappresentanza, e in cambio Landini non romperà sull'articolo 18».

In due giorni il fronte sindacale si è insomma già sfrangiato, e la fronda Pd ancora non trova una linea comune davanti alla sfida del premier. Sintetizza bruscamente il senatore «giovane turco» Stefano Fassina: «Vogliamo fare un altro congresso Pd in aula? Tornare al match D'Alema-Cofferati? Io mi sono rotto le palle».

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