Ci sono giornalisti che passano tutta la vita in cerca di uno scoop. E di solito, quando è imminente la pensione, molti di loro farebbero di tutto per poter lasciare un segno indelebile, almeno nel finale della loro carriera. Di questa categoria fa parte il giornalista del Los Angels Times Jack McEvoy protagonista de Luomo di paglia (Piemme, pagg. 360, euro 19,90) di Michael Connelly.
McEvoy già in passato ha avuto la possibilità di mostrare le sue doti investigative occupandosi di un terribile serial killer che firmava i suoi delitti con frasi di Edgar Allan Poe, come i lettori hanno scoperto leggendo il romanzo Il poeta (The Poet, 1996). Ne L'uomo di paglia il cocciuto giornalista americano vorrebbe invece rimettere in discussione la condanna del giovane spacciatore nero Alonzo Winslow a cui gli investigatori hanno estorto con la forza una confessione per omicidio. McEvoy comincerà così a investigare accompagnato dal profiler dellFBI Rachel Walling ma la sua indagine si allargherà a macchia dolio e lui stesso rischierà di restare vittima di un assassino abilissimo nellidentificare i suo bersagli grazie alluso serpeggiante di Internet.
Michael Connelly dimostra ancora una volta di saper padroneggiare a meraviglia sia il suo personaggio che la cronaca nera, pescando a piene mani nel suo vissuto personale di giornalista, attività che lo ha anche portato a essere candidato al Pulitzer per i servizi da lui realizzati durante la incendiaria rivolta di Los Angeles del 1992.
Nel creare il personaggio di McEvoy, però, Lei ha ammesso di avere avuto un certo distacco, almeno allinizio.
«Quando lho creato direi che gli ho concesso pochissimo di mio. Perché ho scritto come se fossi al buio, senza sapere esattamente dove andare, avendo come unico scopo quello di divertirmi. Poi con il passare degli anni, ammetto di avere cominciato a regalargli anche qualcosa di mio compreso il fatto che lavora come ho fatto io per il Los Angeles Times».
Era facile per lei raccontare tutti i giorni storie di crimini e delitti?
«In realtà è molto più facile oggi rispetto a quando facevo il reporter. Almeno oggi posso distaccarmi dagli orrori della realtà, perché so che si tratta solo di letteratura, di immaginazione. Mi sono occupato di cronaca nera per circa dodici anni e si tratta di un lavoro che ti logora perché ti occupi ogni giorno delle cose peggiori che possano capitare alle persone. La giornata lavorativa dei membri della Squadra omicidi del Distretto di Polizia di Los Angeles inizia quando finisce la tua. Si può grosso modo dire altrettanto dei giornalisti di cronaca nera: le storie di cui si occupano riguardano immancabilmente delle catastrofi, delle calamità. Le cose terribili che succedono alla gente fanno notizia e non si può fare altro che andare avanti a scrivere. Con il passare del tempo, può però risultare difficile farlo. Personalmente, nei sei o sette anni in cui ho fatto contemporaneamente il giornalista e lo scrittore, tornarmene a casa tardi la sera e mettermi a scrivere romanzi gialli è stato per certi versi terapeutico e mi ha aiutato a superare ciò che vedevo e facevo di giorno».
Comera il suo rapporto quotidiano con la polizia e la magistratura?
«Los Angeles è una grande città mediatica e il Distretto di Polizia è molto abile nel tenere i rapporti con la stampa. I poliziotti e i media non si fidano gli uni degli altri. È una guerra psicologica snervante. Scrivi storie accurate che raccontano quello che è realmente successo e in tal modo ti guadagni la fiducia dei poliziotti. Nel tempo sono riuscito a costruire delle ottime relazioni dentro la polizia. In certi casi, si tratta di rapporti che durano tuttora, nonostante abbia smesso di fare il giornalista da una decina danni. Ma allinizio devo ammetter che è stata dura».
Cosa ricorda dei disordini di Los Angeles del 1992?
«Ero in giro in pattuglia con la squadra urbana che se ne occupava, e mi sono venuto a trovare in un paio di situazioni difficili. Da brividi. Ho visto gli aspetti più deleteri dellumanità e anche quelli più nobili. Mi sono trovato nel mezzo di una rivolta di massa e avrei potuto restare ferito o persino ucciso, ma in quella massa qualcuno mi ha afferrato e mi ha portato al sicuro. Ho dunque visto inferno e paradiso nello stesso istante e probabilmente si è trattato del momento più significativo della mia carriera di reporter.
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