Reporter dal fronte, abituati a guardare in faccia il pericolo. Oppure semplicemente cronisti  «scomodi», che pagano con la vita il prezzo della verità. Sarebbero 59 i giornalisti uccisi in  tutto il mondo dall'inizio dell'anno. Numeri allarmanti rispetto alle ultime statistiche del  2008. La Pec (Press Emblem Campaign) non usa giri di parole: «Un bagno di sangue», calcolando  che nei primi sei mesi del 2009 sono stati 53 i giornalisti uccisi. Vale a dire 45 in più  rispetto all'anno precedente. Gli altri sei casi si sono infatti registrati nel solo mesi di  luglio, compreso quello dell'attivista russa Natalya Estemirova - «erede» dell'altra vittima  simbolo Anna Politkovskaja -, uccisa lo scorso 15 luglio in circostanze come minimo sospette. 
Il triste primato delle morti spetta al Messico, con 7 giornalisti uccisi, seguito da Pakistan  (6), Iraq, Filippine, Russia e Somalia (5), Gaza e Honduras (4), Colombia (3), Afghanistan,  Guatemala, Nepal, Sri Lanka e Venezuela (2), India, Indonesia, Kenya, Kyrgyzstan e Madagascar  (1). Da sottolineare che, nell'elenco, manca qualsiasi riferimento ad altre situazioni a dir  poco critiche per la libertà di stampa quali l'Iran, la Cina, la Corea del Nord, solo per citare  le più conclamate. 
La Press emblem campaign attribuisce l'incremento degli omicidi da un parte ai conflitti (come a  Gaza, in Somalia, Pakistan e Sri Lanka). Per questo lancia un appello alle Nazioni Unite  affinché «fermino una simile strage».
Reporter uccisi: 59 in meno di 7 mesi "Un bagno di sangue"
Secondo l'osservatorio "Press emblem campaign" la crescita del fenomeno non ha precedenti (45 casi in più del 2008). Il primato delle morti sospette in Messico e Pakistan. E dalle statistiche sfuggono Iran, Cina e Corea del Nord
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