Roma - Come infaticabili api operaie i redattori della Repubblica si sono messi a ricostruire il duemillionesimo scandalo fiscale di Silvio Berlusconi: hanno per le mani «roba forte». Il pezzo centrale dell'inchiesta-indagine-requisitoria (i generi «repubblicani» si mescolano un po') consisterebbe in un dirigente Fininvest che avrebbe sentito dire che il «dottore» avrebbe gradito far acquisire a Frank Agrama, affermato operatore economico del mondo del cinema, certi diritti su film stranieri a prezzi non congrui. Il castello di accuse ricostruito nell'occasione è singolarmente pietoso.
E non pochi osservatori di questi affari di spazzatura giudiziaria si domandano come mai a largo Fochetti siano così disperati da dovere mettere insieme materiale così di scarto per continuare le crociate antiberlusconiane.
Politicamente l'operazione è in perdita: si punta su un affaire inesistente, si offre quasi la prova materiale dei tentativi di congiura in atto, della volontà di impedire con qualsiasi mezzo alle assemblee elettive di funzionare. Si aiuta il centrodestra a ricompattarsi proprio mentre altre centrali economico-finanziarie tentano di disarticolarlo. E si fa questa operazione alla vigilia delle decisioni della Corte costituzionale: dimostrando così anche al più ostinato giurista conservatore come in Italia vi sia un gigantesco problema di protezione degli organi legittimi di governo.
Perché un comportamento che ricorda così da vicino Kakha Kalazde in Italia-Georgia?
Circolano diverse interpretazioni. Una lettura dei fatti è che il giornale-partito di fronte alle magre prove del Partito democratico, agli spettacoli offerti dagli stanchi concorrenti per la segreteria, si pensi sempre più partito e sempre meno giornale: tenere serrate le file dei seguaci-iscritti diventerebbe più importante che favorire, oggettivamente o no, il nemico, e che spacciare informazioni e analisi anche minimamente di qualità. In questo senso le manovrine «centriste», magari utili per incrinare il governo, apparirebbero poco appassionanti a Ezio Mauro e ai suoi per sollecitare la militanza. Pensare a folle che seguano i riccioli di Luca Cordero di Montezemolo o il temperamento passionale di Corrado Passera, appare dal punto di vista di largo Fochetti - ed è difficile dargli torto- improbabile.
Ma non c'è solo l'ipotesi giornale-partito che giustifichi l'orgasmo giustizialista della più recente fase repubblicana. Perché non va scordato come i quotidiani (non tutti) stiano vivendo una vita economicamente difficile. Il quotidiano di Mauro ripubblicando sempre la stessa inchiesta sulla vita privata di Berlusconi, dopo un periodo di ebbrezza, sta tornando in difficoltà. E un terribile pericolo si annuncia alle porte. Ed è questa, alla fine, la novità che induce alla mobilitazione più sconclusionata. Oggi, 23 settembre, uscirà per le cure di Antonio Padellaro e Marco Travaglio il quotidiano Il Fatto. L'eroina dell'antiberlusconismo spacciata con rara sapienza da Giuseppe D'Avanzo, si troverà a competere con un'eroina ancora più concentrata, ancora più esplosiva, tutta made dall'odiato Travaglio. Questa prospettiva sta facendo perdere la testa a tutto il giornalismo giustizialista giù esistente.
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