La Repubblica del petrolio sceglie di non cambiare

Larga maggioranza al partito del «presidente ereditario» Ilham Aliev. Ma l’opposizione denuncia frodi

Roberto Fabbri

C’era aria di svolta arancione prima del voto di ieri in Azerbaigian, la Repubblica del petrolio sul Mar Caspio. E c’è aria di rivolta arancione oggi, dopo il voto che quella svolta non ha decretato ma che ha lasciato dietro di sé, in compenso, una scia di contestazioni che secondo i leader dell’opposizione dovranno sfociare nell’annullamento delle elezioni.
L’esempio dell’Ucraina, che si è liberata di una classe politica stretta in un troppo fraterno abbraccio con Mosca solo grazie a una ribellione di popolo dopo elezioni viziate da brogli plateali, ma anche quello della più vicina Georgia non hanno per il momento sortito alcun effetto concreto sul destino dell’Azerbaigian. Per la prima volta nella storia del Paese si votava in un contesto pluralista e con apparenti garanzie democratiche. Per la prima volta erano anche stati invitati osservatori stranieri. Ma come sempre, alla fine, la vittoria ha arriso al partito del potere. Che in Azerbaigian significa, come in molti Stati freschi di uscita dal “socialismo reale”, un potere ereditario. Oggi incarnato da Ilham Aliev, figlio dell’ultimo autocrate comunista Gheidar Aliev.
Alì Ahmedov, segretario del partito «Azerbaigian unito», esulta parlando di una vittoria larghissima e mostra indignazione a chi gli parla di sospetti di brogli. «Quali brogli? Noi non ne abbiamo bisogno», assicura. Ma quelli di «Azadliq», l’ambizioso movimento di opposizione guidato dall’ex esule Rasul Guliev, suonano tutta un’altra musica. Subito prima delle elezioni, affermano, arresti e intimidazioni non si sono contati (ma qualcuno si è preso la briga di contare gli episodi contestati ai seggi: 21mila, tra cui pressioni sui membri delle commissioni, interferenze delle autorità locali e propaganda illegale dell’ultimo minuto) e la televisione ha trasmesso una “confessione” di due ex ministri allontanati dalle stanze dei bottoni per un presunto tentativo di colpo di Stato in accordo con l’opposizione. Non è piaciuto neanche che Ahmedov abbia proclamato con tono categorico il trionfo del suo partito già pochi minuti dopo l’inizio dello scrutinio delle schede. Ciliegina sulla torta, gli oppositori in esilio che hanno cercato di rientrare in patria in occasione della chiamata alle urne erano stati respinti alle frontiere.
Brutte storie, tipiche di Paesi che con la democrazia hanno un rapporto non ancora approfondito. Ma forse l’aspetto più deludente delle elezioni di ieri è stato l’astensionismo. Una sorpresa, perché pareva logico attendersi che l’occasione rappresentata dalle prime consultazioni libere e monitorate da osservatori imparziali sarebbe stata colta al volo. Invece, si sono scomodati a votare solo 46 azeri su cento, contro i 62 di cinque anni fa.
Così la dinastia degli Aliev si sarebbe aggiudicata 56 dei 125 seggi in palio, e nel Parlamento di Baku, oltre al “presidente ereditario”, siederanno anche sua moglie e uno zio. Con i seggi degli “indipendenti” legati al potere ce n’è abbastanza per governare ancora a lungo.

Sempre che, naturalmente, la protesta dell’opposizione non sortisca un qualche effetto. Per domani è convocata una grande manifestazione di protesta contro brogli e irregolarità. E una svolta arancione è ancora possibile.

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