Per «la Repubblica» la sfortuna ci vede benissimo

Per «la Repubblica» la sfortuna ci vede benissimo

Caro Granzotto, con mia enorme sorpresa vengo a scoprire che la Repubblica seguita a pubblicare le famose dieci domande a Silvio Berlusconi, ormai completamente avulse dal contesto perché non c’è più un rigo sulla vicenda che alle 10 domande diede origine. Trovo l’atteggiamento assolutamente indecente e persecutorio, non degno nemmeno di un foglietto di regime quale è la Repubblica.
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Ma no, ma quale foglietto, caro Dolbino. La Repubblica è un grande giornale, ovviamente libero e indipendente (forse anche equo, solidale e biosostenibile, ma di questo non sono sicuro). Ha una sfilza di firme eccellentissime, a cominciare da Giuseppe D’Avanzo, cronista che non si ferma nemmeno davanti ai bidet (e che è anche il Gran Domandiere, ovvero l’autore delle venti domande, dieci nuove e dieci vecchie, che puntualmente impillaccherano le pagine del quotidiano di Largo Fochetti). Ci aggiunga che la Repubblica sta ai «sinceri democratici» come il libretto di Mao alle Guardie Rosse, ci metta anche che ha un editore svizzero e la Svizzera fa degli orologi a cucù che lèvati e converrà con me che altro che foglietto, un foglione è. Sì, certo, porta un po’ iella: ogni politico che sponsorizza, ogni disegno, ogni alchimia di governo, ogni strategia per non parlare delle tattiche che la Repubblica raccomanda ai capataz di turno della sinistra sono di per sé votati al fallimento, alla trombatura. Non è che i repubblicones non ne azzecchino una. Per azzeccare, azzeccano. Ma appena azzeccata la formula o l’uomo, si dà il caso che questa o quello siano presi in carico dalla sfortuna. La quale, a differenza della consorella fortuna, ci vede che è una meraviglia. Dieci decimi, se bastano. L’ultima sponsorizzazione al cianuro è stata quella a favore di Franceschini e di Marino. Un atto dovuto perché a Largo Fochetti Massimo D’Alema - e di conseguenza le sue creature, Pier Luigi Bersani, per non far nomi - è detestato forse più dello stesso Berlusca. Ma pur avendo tirato la volata dei due candidati con discrezione (un po’ perché erano nomi di seconda scelta, un po’ pensando che così facendo non avrebbero attirato l’attenzione di madama scalogna, che invece è sempre sul chi vive) ha visto, caro Dolbino, come è andata a finire: en plein di D’Alema-Bersani. E conseguente cappotto di Franceschini e Marino. Come da tradizione.
Iella, poi, chiama iella. A Largo Fochetti si fanno un mazzo così per incastrare il Cavaliere rivelando che fra le sue quattro mura - home sweet home - quello sciupafemmine si circonda di belle figliuole scutrettolanti alle quali offre coni gelato, un bijou e alla bisogna il lettone di Putin. Con impressionante potenza di fuoco lo prendono di mira per nove lunghi mesi deplorandolo, ammonendolo, denunciandolo e rinfacciandogli d’essere l’utilizzatore finale della signorina D’Addario, donna da conio per sua stessa orgogliosa ammissione.

E poi, sul più bello, piomba loro addosso il sinceramente democratico Marrazzo con le sue (i suoi, per l’esattezza) Brendone, i suoi ipersiliconati Natalie e Trucule Bonbon; lo squallore borgataro de Roma nostra; le paccate di euri per l’utilizzazione finale; la cocaina al posto del cornetto Algida; il cesso piastrellato in luogo delle fastose salles de bain di Villa Certosa; la segatura umidiccia al posto dei Bukara; la poltrona letto contro il lettone di Putin. E l’«Operazione Noemi» va a farsi benedire, con un Papi che ne esce trionfante per gusti, garbo e messinscena. Annus horribilis, questo, per i repubblicones. Fossi in loro, chiamerei l’esorcista.

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