Renato Brunetta merita il premio Nobel. Non per l'economia, come qualcuno di voi che leggete è forse indotto a pensare, ma per la medicina. Nella lunga e dolorosa storia delle sofferenze e delle epidemie di cui l'umanità è stata vittima quasi mai si è riscontrato un numero di guarigioni contemporanee paragonabile a quello rilevato adesso nella burocrazia italiana. Imperversa la buona salute. Leggerete le cifre nei servizi che corredano questa nota. Mi limito a citarne una: a luglio le assenze per malattia tra i dipendenti della pubblica amministrazione sono calate del trentasette per cento rispetto al luglio del 2007. Un miglioramento che forse neanche scienziati della caratura di Pasteur o di Fleming o di Sabin pensavano di realizzare, oltretutto in breve tempo. Loro combattevano i flagelli con il passo del fante. Brunetta ha il passo del bersagliere. Niente sperimentazioni, il male con cui doveva confrontarsi non era per lui oscuro. L'ha aggredito con decisione, e non diciamo che l'abbia sconfitto, guardiamoci da prematuri inni di vittoria. Ma dopo tanti insuccessi di tanti governi, dopo che sono fallite, sprofondando perfino nel ridicolo, le gride di numerosi ministri della defunzione pubblica, il sommo taumaturgo ha fatto un quasi miracolo. Non sarà ancora Lourdes, e nemmeno San Giovanni Rotondo. Ma è infinitamente meglio dell'immobilismo di decenni: quando l'assenteismo dello Stato e nello Stato era accettato come una calamità biblica, e guai parlarne.
Si era reazionari, autoritari, nemici dei lavoratori, nostalgici di Mussolini e della Camera dei fasci e delle Corporazioni. Tutt'al più si dibatteva, concettosamente, il problema, suscitando infrenabile ilarità nei fannulloni, chiusi nel loro fortilizio di norme apparentemente inespugnabili. L'amministrazione, balena arenata, pareva incapace di reazioni. Il professor Brunetta ha dato una scossa alla torpida creatura. L'ha data soprattutto a quanti, dediti a un posto ma non a un lavoro, hanno finalmente avvertito il sibilo d'una frusta risanatrice. Ci voleva.
Abbiamo letto e ascoltato negli ultimi tempi sagge esortazioni a non coinvolgere tutti i dipendenti pubblici in una critica che riguarda alcuni tra loro. Monito sacrosanto. Che però ha bisogno, per risultare credibile, non solo d'una deprecazione ma anche d'una azione risoluta contro le pecore nere. Che è proprio quanto Brunetta sta facendo. Veniva sempre affermato in passato, quando si deplorava l'inefficienza pigra dei «pubblici» e la loro cagionevolezza scandalosa, che le accuse erano ingiuste, che le malattie erano vere, che non c'era per niente da stupirsi se un passacarte neghittoso risultava soggetto a malanni di ogni tipo assai più d'un minatore. La grande malattia che era anche una grande bugia, è stata svelata dal professor Brunetta. Non è che dopo i suoi giri di vite gli italiani abbiano visto statali macilenti e scheletrici come i liberati da Auschwitz che si trascinavano ai loro uffici.
Mario Cervi
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